"Donna non si nasce, si diventa" (Simone de Beauvoir)

venerdì 30 luglio 2010

CorrieredellaSeraGli incontri / A casa di: DARIA COLOMBO

Sono una sessantottina autoritaria
Ha scritto un romanzo, «Meglio dirselo», in cui prende le distanze dal «mito» dei genitori primi amici dei figli. «Da trent’anni moglie di Roberto Vecchioni, ho rinunciato a molto. I girotondi mi hanno ridato forza, più di una Milano sonnolenta»
Gli incontri / A casa di: DARIA COLOMBO

Sono una sessantottina autoritaria

Ha scritto un romanzo, «Meglio dirselo», in cui prende le distanze dal «mito» dei genitori primi amici dei figli. «Da trent’anni moglie di Roberto Vecchioni, ho rinunciato a molto. I girotondi mi hanno ridato forza, più di una Milano sonnolenta»

L’arcobaleno di tende multicolori grida un inno alla gioia di vivere. «Le sembra»? Sprazzi di viola e poi un fascio di seta bianca, un abbaglio giallo e una fiammata rossa e poi una lama color arancio, una specie di pantheon di sciarpe buddiste che arginano un divano viola. Daria Colombo sorride cortese. «Avevamo voglia, forse anche bisogno, di colori. Dovevamo segnare l’uscita da un periodo buio». Ora c’è luce, «almeno ce n’è abbastanza», intorno a questa donna che è fra le più invidiate d’Italia. «Sapesse quanto mi fa infuriare questa invidia». La sua «fortuna», almeno quella che le hanno appiccicato addosso, è di essere la moglie di Roberto Vecchioni. «Da trent’anni», precisa. Un tempo lungo, sufficiente per essere considerato un titolo di merito. «Ma anche un limite - spiega Daria Colombo -. Ho come l’impressione di aver rinunciato a una serie considerevole di possibilità, di occasioni. È che per educazione sono stata poco abituata a pensare a me. In realtà il vero, unico regalo che mi sono fatta, la concessione che mi sono permessa di imporre anche agli altri, è stata questo libro».


Daria Colombo durante una manifestazione dei girotondi
Ha scritto Meglio dirselo, romanzo familiare e familista che inverte e rivoluziona molto di quello che la sua generazione - quella del ’68 - ha conquistato, insegnato e predicato. Genitori amici dei figli, ad esempio, e mai autoritari, alfieri di una libertà assoluta di fare quel che si vuole. «Ma nemmeno per idea - dice - in casa sono la rompiscatole, quella che impone regole e disciplina. Vivo con due giovani maschi e un adulto adolescente, che sarebbe mio marito. Un disastro». Scherza. Fra i tanti lavori che ha fatto con successo, quello che preferisce è sicuramente il mestiere di moglie e madre. Le è riuscito bene, anche se non si è mai liberata da un pesante fardello di ansia. «Con Caterina, la prima figlia, ero divorata dalle preoccupazioni, con il secondo, Arrigo, è andata già meglio, con Dodi, il terzo, mi sono tranquillizzata. Abbastanza». Però non si addormenta se non li ha sentiti rientrare e perfino sulle piccole cose conserva prudenze antiche. L’acqua ad esempio, si beve calda. E non fa niente se, soprattutto quella gasata, fa un po’ schifo: «Ho paura che presa dal frigo, troppo fredda, possa provocare una congestione».

Ma le apparenze, come sempre, nascondono verità totalmente diverse. Daria Colombo è una donna rocciosa. Chi segue la politica la ricorda alla guida del movimento dei girotondi, quello che poi «venne consegnato bello e confezionato a Nanni Moretti». Pausa. «Adesso penso che avesse ragione lui. Io ho sempre detto che quel movimento non doveva essere inteso contro i partiti. Ora penso che i partiti non cambieranno mai. Speravo che il Pd di Bersani riuscisse ad essere diverso, lui si era impegnato con me a tener conto dell’associazionismo, a dare una svolta davvero innovativa al modo di fare politica. E invece siamo rimasti inchiodati al secolo scorso. E ha ragione Nanni Moretti: non cambieranno mai».

Lei, invece, è cambiata. E ha perfino scoperto l’autoironia: «Sono stata una bella donna, ma alla bellezza che gli altri mi attribuivano si è sempre accompagnata un’insicurezza profonda. Ora che ho smesso di essere bella come ero, sono diventata più sicura: i foruncoli non mi fanno più paura». Anche se vive con un demonio accanto. A vederlo, Roberto Vecchioni sembra la lastra di un uomo, una cinquantina di chili scarsi. Viene da pensare che non mangi mai. «E invece è un divoratore di tutto, di dolci, in particolare. Ci sono serate che arriva in camera da letto con una Sacher torte intera, un monumento al cioccolato, e mi provoca, mi istiga, vuole che la divida con lui. E fatico a resistere, come si fa»? Già, come si fa a resistere a Vecchioni? Cosa ha di così magico da riuscire a piacere a tutte le donne? «Quell’aria da intellettuale sofferente. Strega».

E pensare che lei lo ha fatto piangere. «Quei singhiozzi mi hanno fatto felice, posso dirlo? Quando ha finito di leggere il mio libro mi è venuto vicino, mi ha detto "è bellissimo" ed è scoppiato in lacrime». Bella soddisfazione, no? «Sono stata molto contenta. Ma anche dei complimenti di molti altri amici, Pino Roveredo, Enzo Iacchetti, Gianni Morandi, Giovanna Melandri, E Lucia, la parrucchiera, 18 anni: mi ha rincorso e mi ha abbracciata in mezzo alla strada». Cos’è che è piaciuto, secondo lei? «Credo il senso di autenticità, di partecipazione, la difesa dei valori e degli affetti più veri». Oltre che della famiglia. «Già. In un mondo dove tutto si disgrega, la famiglia ritrova un’importanza fondamentale. Posso dire che per me è quello che viene rappresentato con semplicità nei fumetti Pokemon, che i miei figli vedevano da piccoli. "La famiglia - dicevano - è il posto dove non si è mai soli"».

La famiglia Vecchioni vive nella Milano storica e di moda, non lontano da corso Garibaldi e da Brera. «Adoro Milano. O meglio adoravo la Milano colta e nello stesso tempo popolare, quella di alcuni decenni fa. Poi quando è diventata da bere, è cominciato il declino, e oggi è una città sonnolenta, con poche suggestioni. Parafrasando Elio Germano, potrei dire che i milanesi sono grandi persone, nonostante la loro classe dirigente. Quando possiamo scappiamo a Desenzano, sul lago». Lì sta più tranquillo anche Tony, il cane di casa. È un Border Collie, socievole e peloso, con una particolarità caratteriale che con la razza non c’entra niente, ma denuncia una certa avversione alla vita cittadina. Quando passa un’auto con sirena, che sia polizia, vigili del fuoco o ambulanza, ulula. Ma ulula proprio. Si sistema accanto alla porta finestra, alza il muso e, a suo modo, canta. C’è chi ironizza e sostiene che vuole imitare il padrone di casa. Sanno ridere bene, i Vecchioni, anche di loro stessi. Prendi il tifo, ad esempio. Roberto, come è noto, è gran tifoso dell’Inter: e così anche Carolina, 26 anni, Arrigo, che ne ha 23, e «in qualche modo costretta» anche Daria. Edoardo no. Dodi ha deciso che ribellarsi alla passione nerazzurra è giusto. Ha applicato al tifo i dettami del ’68 e da sveglio ragazzo milanese ha scelto, addolorando il padre, le romanze musicali di Antonello Venditti e intona «Grazie Roma» per incoraggiare Totti e De Rossi. «E adesso pure Adriano. Anche se non sono convinto - dice - che saprà resistere alle tentazioni della notte romana».

Edoardo è l’amore difficile della famiglia, un bel ragazzo con una malattia da sconfiggere: è stata già vinta più di una battaglia contro la sua sclerosi multipla, c’è da vincere la guerra finale. Allora si brinderà tutti insieme e sarà la vera fine del buio. Intanto si va avanti. Tenaci. «Testarda, sì, sono testarda. E anche un po’ quacchera e assolutista. Insomma se mi metto in testa una cosa non mi si smonta». Come con il libro. «Alle cinque e mezzo, massimo le sei, ero davanti al computer». Daria racconta di un’infanzia severa, che la ha rubato a lungo la capacità, più che la voglia, di sorridere. Genitori adorati ma austeri, la malattia della madre - che torna nel libro - il recupero del rapporto con il padre, anche questo elemento fondamentale del romanzo. «Poi ho imparato a non disprezzare le cose futili, quelle che sembrano sciocche. Ho imparato a fare le imitazioni». Nel suo salotto colorato d’allegria si lascia andare alle parodie, sembra riuscitissime, di Berlusconi e Fassino. «Sapevo fare bene anche Patty Pravo, ma ne è passato di tempo».

Le distrazioni non cancellano mai l’impegno, quel collettivo al quale la vita di Daria si è voluta sempre ispirare. «Una parte dei diritti del libro andrà all’associazione World Friends che si occupa in Kenya dei meno fortunati: abbiamo costruito una casa famiglia, ci vivono in 35. Hanno bisogno, noi proviamo ad aiutarli». Quel che comanda e indica la strada, il senso e la voglia di comunità, di parlare. «Meglio dirselo». Sembra una leggenda, e forse lo è, la storia di Carolina bambina davanti ai genitori che non volevano comprarle una Barbie. Lei, a poco più di un anno, tentò così l’ultimo assalto: «Palliamone».

Corrado Ruggeri
28 giugno 2010

YouDemTV

Bella intervista a Daria su YouDemTV

http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=7ba78146-263a-4d9f-abd7-40ceef37c1ac

giovedì 17 giugno 2010

Emozioni e romanzo secondo Daria: «Meglio dirselo che ci si vuole bene»

«Meglio dirselo che ci si vuole bene». Daria Colombo nel presentare il suo libro, ieri sera alla Moderna di Udine, svela anche il segreto per «essere un buon padre, un buon amico, un buon figlio, un buon fratello». Il titolo del libro, Meglio dirselo (Rizzoli 2010), potrebbe tranquillamente continuare con «che ci si vuole bene» secondo l’autrice, intervistata ieri dallo scrittore Pino Roveredo. «È meglio mostrare i sentimenti – ha spiegato al pubblico –, inutile nasconderli: una persona solida è una persona amata e che ama, non una persona giudicata per quello che pensa. L’amore va comunque sempre espresso». Attenzione a non confondersi però. «Non è sempre utile dirselo se parliamo di vissuto, non bisogna raccontarsi tutto – ha proseguito – come quando si aveva 13 anni, anzi ogni individuo deve avere uno spazio privato, ma è meglio dimostrare i sentimenti». Così la scrittrice svela la chiave della storia di Lara De Longhi, madre di due figli che «sono belli anche quando sbagliano», moglie di un uomo che non la ama più e figlia di un padre severo, costretta a fronteggiare la malattia della madre. «Non è una storia autobiografica – ci tiene a specificare la Colombo, compagna del cantautore Roberto Vecchioni –, ma parte da un dato autobiografico: mia madre era malata di Alzheimer e io e mio padre eravamo costretti ad incontrarci fuori di casa per poter parlare. Però, a differenza di Lara, io non ho questioni irrisolte». A quanto pare, nella storia c’è qualcosa di non detto. «La tesi del libro è che l’infanzia e l’adolescenza segnano una persona per tutta la vita – ha aggiunto l’autrice – e mi sembrava un argomento non trattato dal punto di vista di quella generazione che ha vissuto il ’68 e che a distanza di 30 o 40 anni si ritrova con i genitori anziani, magari malati, con sensi di colpa, figli con cui a stento hanno un rapporto». A Pino Roveredo il romanzo d’esordio della giornalista Daria Colombo è piaciuto molto. «Nella sua semplicità della scrittura – ha spiegato – si legge velocemente. Io non sono un esperto letterario, ma questo libro è emozioni, con una forza racconta dei personaggi che sono normali, possibili, tanto che non è difficile riconoscersi, è uno specchio. Il titolo poi è stupendo, richiama questa forza di dirselo, di raccontarselo». Secondo il racconto della scrittrice, il libro nasce da tante parti: «Durante gli incontri con mio padre mi venne in mente di unire i pezzi – ha spiegato – e quindi collegare ciò che avevo scritto sugli adolescenti alla scontentezza, alla tristezza di un amore che non è quello di una volta e così è nato il libro». Parte del ricavato andrà alla onlus World Friends , per contribuire alla creazione di un ospedale nella baraccopoli di Nairobi in Kenya, dove la Colombo va ogni anno. Ilaria Gianfagna ©RIPRODUZIONE RISERVATA

domenica 13 giugno 2010

Presentazioni Giugno 2010


Ecco dove incontrare Daria a Giugno per parlare di Meglio Dirselo

15 giugno Udine ore 18.oo Libreria Moderna – Via Cavour 13

16 giugno Trieste ore 18.00 Libreria Minerva Via San Nicolò , 20

18 giugno Siziano (PV) ore 20.30 “Corte dei Quattro Re” Cascina Fornasetta – Strada Vigentina

19 giugno Bassano del Grappa ore 20.00 Caffè del Libro – Vicolo Gamba

21 giugno Rivoli (TO) ore 18.00 Festa della Musica e della Cultura - Castello di Rivoli

Meglio dirselo.. A Foggia





Daria ha presentato con grande successo, e con il prezioso sostegno di Ivan Scalfarotto e Filippo Fedele, Meglio Dirselo a Foggia. Seconda tappa pugliese, dopo quella di Leverano, anche a Foggia libro e autrice sono stati accolti da grande affetto ed interesse nella serata organizzata dalla libreria Edicolé. Un sentito ringraziamento va anche a Enzo Diliso,proprietario di Edicolé e generoso ospite.

lunedì 31 maggio 2010

Come mamma ( e papà ) mi han fatta

Dal Secolo XIX

LARA pecca un po’ di onnipotenza. «Eh già, è una donna», sintetizza Daria Colombo. E elemosina amore. Da un marito che ancora la desidera ma che non l’ascolta, da un paio di figli che le sbattono la porta in faccia - sì, lo fanno anche a lei, che è una mamma così libertaria - e da due genitori che non smettono di deluderla e gelare le sue aspettative. Come succedeva quand’era piccola. Ora, che di anni ne ha una cinquantina, è così insicura proprio per quella percepita mancanza d’amore.

«Dalle relazioni che un bambino vive nella sua famiglia impara qual è il suo posto nel mondo e quanto conta» spiega la sociologa Chiara Saraceno «chi pensa di non essere stato amato avrà sempre la terra che gli frana sotto i piedi». Lara, la protagonista di “Meglio dirselo” (Rizzoli, 235 pagine, 18,50 euro), il primo romanzo di Daria Colombo, giornalista, art director e fondatrice del movimento dei Girotondi, oltre che moglie di Roberto Vecchioni, si sente proprio così. «L’amore inespresso nel rapporto con i figli, durante l’infanzia e l’adolescenza, è la chiave di tutto» osserva la neo scrittrice «perché determina la persona che diventeremo». Un condizionamento che emerge da tutti i personaggi del romanzo, costruito sul conflitto generazionale e sulla voglia di rinascita al femminile: da Lara, corazza di donna inarrestabile in realtà in cerca di continue conferme, dal marito Giorgio, che una madre troppo prodiga di elogi ha reso narciso e egocentrico, dalla mamma vecchio stampo e dal padre, cresciuto orfano e quindi incapace di dimostrarle stima e affetto.

È un romanzo che scorre veloce “Meglio dirselo”, che racconta dell’incomunicabilità fra coniugi ma soprattutto fra genitori e figli. Anche, con stupore della protagonista, nell’epoca post ’68, quella delle gerarchie saltate. «Lara era adolescente nei primi anni Settanta e ha avuto un’educazione rigida, un amore sempre misurato. Pensava che le tensioni con i suoi genitori, ipertradizionalisti di provincia, dipendessero da questo» spiega Colombo «ma si è dovuta scontrare con due figli adolescenti chiusi e ugualmente irritati dalle sue intromissioni. È entrata in crisi».

Un’educazione meno rigida, insomma, non salva dalle tensioni. «E per fortuna» commenta Saraceno «il conflitto fra genitori e figli non è basato sull’autoritarismo dei primi, come hanno a lungo pensato i post-sessantottini, ma dal sano percorso di crescita dei ragazzi, che così imparano a prendere le distanze. Il senso di onnipotenza di genitori che parlano dei figli come di “un libro aperto” è preoccupante. È giusto che gli adolescenti, e non solo, rivendichino separatezza e privacy». Bisogna accettare - spiega la sociologa, di cui è in uscita, edito dal Mulino, “Onora il padre e la madre”, scritto con Giuseppe Laras - che i figli talvolta ci chiudano la porta in faccia.

«Quello che semini non va perso» osserva Emilia Marasco, genovese, direttore dell’Accademia ligustica di Belle arti e autrice di “La memoria impossibile”, sulla sua esperienza di madre adottiva: «Spesso la sensazione è quella di aver profuso sforzi invano, ma i valori e gli ideali trasmessi, anche se i genitori non li colgono nell’immediato, contribuiranno a creare adulti più consapevoli». «Noi che abbiamo fatto il ’68» ha detto Sveva Casati Modignani presentando il suo ultimo libro, “Il gioco delle verità”, a Genova «ad un certo punto abbiamo dato per scontato che i nostri figli avrebbero ereditato le nostre vittorie. Non è stato così». Per Lara, la protagonista del romanzo di Colombo, per scontato non si dovrebbe dare nulla. È «meglio dirselo», come suggerisce il titolo. «Oggi, un po’, ci aiutano anche gli uomini» sorride l’autrice «che prima erano padri, mariti e figli impermeabili al dialogo. Ma soprattutto si aiutano le donne, fra loro. Se prima non si parlava per pudore o ipocrisia, ora le donne si confrontano, anche sui fallimenti». “Meglio dirselo”, il romanzo che ha pubblicato sulla spinta dell’«entusiasmo» del marito - il suo primo lettore - è «un libro di grande amore per le donne, normali e sempre eccezionali».

venerdì 28 maggio 2010

Mario Luzzato Fegis recensisce Meglio Dirselo

Cliccate sullo scan per ingrandirlo

Da Style, inserto del Corriere della Sera del 28 Maggio 2010

martedì 18 maggio 2010

Nuova opinione su Meglio Dirselo

Un bel romanzo, che inizia in sordina, e poi ti avviluppa, si insinua, fa ricomparire il tuo passato, guardare con ochhi il tuo presente, spiare il futuro. Come ha giustamente detto una lettrice anobiana, Lara potrei essere io. Forse lo sono già, forse lo sar, forse si accumuleranno tanti errori nella mia vita, ma anche tanto da costruire e creare, forse è sempre tutto così difficile, ma ci che possiamo fare è parlare. Parlare ai nostri genitori, prima che sia tardi, al nostro compagno, prima che quell'amore così forte si perda nella quotidianità, ai nostri figli, prima che prendano definitivamente le loro strade, ai nostri amici. Un romanzo che con delicatezza, con una scrittura piana, con dei salti temporali che accompagnano e non disturbano ci accompagna insieme alla protagonista lara, a riallacciare i nodi della sua vita. Splendide le pagine in cui recupera il rapporto da sempre conflittuale con il padre, tra i tavolini di un caffé, come due amanti clandestini, in cui riscopre la complicità con i figli ed il marito, in cui si riappropria dell'amore per il suo lavoro . Mi ci sono ritrovata molto, come carattere. Ma penso che ci si possa ritrovare ogni lettrice, in questa descrizione della quotidianità, che sembra nulla giorno per giorno ed invece, è tutto quello che conta. Una nota, questo è il primo romanzo della moglie di Vecchioni.

mercoledì 12 maggio 2010

L'amore non va mai sprecato...

[....]da poco ho finito di leggere un romanzo che mi ha lasciato un bel carico di emozioni... c'è una pagina in cui la protagonista, parlando con il padre, confessa le sue paure, il suo senso di inadeguatezza... il suo sentirsi svuotata dopo tanto amore riversato sui due figli, che ormai le sembrano lontani, troppo diversi da lei... e la risposta del vecchio è di una semplicità e di una verità disarmanti

(...) poggia la testa sulla spalla di suo padre, un gesto nuovo che le fa bene.
“Sono stanca, papà, li ho sovraccaricati d'amore ogni attimo della loro vita e adesso è già tanto se mi rivolgono la parola. Tutto sprecato...”
Ma lui, tentando maldestramente una carezza, dice: “No, Lara, non è vero, qui ti sbagli: guarda che l'amore non va mai mica sprecato”.
Lei alza gli occhi verso il vecchio e, per qualche istante, le pare di vedere suo padre grande come quando era bambina.
(Daria Colombo, Meglio dirselo)

Daria risponde ad uno speciale sugli esordienti italiani

Sono colti, intelligenti e spiritosi. Sanno farci sorridere, ma sanno anche farci pensare. Grazie al loro talento. Non cercano scorciatoie. Sono l’orgoglio nazionale. Loro sono i nuovi promettenti scrittori italiani.
Che cosa sognano? Imbrigliarci nelle parole. Stregarci con le loro storie. Legarci ai personaggi. Ma sempre, in ogni momento, farci riflettere.
Se poi il successo arriva… non verrà disdegnato!
Hanno risposto alle domande:

1. Se dovessi recensire il tuo libro,
come lo faresti, con che parole?
2. Perché leggerlo?
3. Chi è il tuo lettore?



Daria Colombo, Meglio dirselo

1) Difficilissimo! ci provo.
Lara, una vecchia ragazza stanca, tira il bilancio della sua vita. I figli adolescenti, il marito che ha adorato, il suo lavoro di architetto e perfino gli ideali della sua giovinezza fanno si che i conti non tornino.
L’essere costretta dalla malattia della madre a frequentare di nuovo la sua famiglia d’origine che ha lasciato malamente a vent’anni, modifichèrà il suo punto di vista. Daria Colombo costruisce una storia talvolta ironica ma spesso commovente, intorno alla tesi che l’infanzia condiziona l’intera esistenza. L’autrice riesce, catturando li lettore con una scrittura personale e ”quotidiana”, a tirare le somme di una vita al positivo, se pur attraversata da momenti difficili e talvolta drammatici, come lo sono quasi tutte le vite. Il segreto che traspare tra le pieghe del romanzo sta nel riuscire a comunicare i sentimenti.

2) Ancora più difficile.
Forse perché chiunque può trovarci qualcosa di sé: commuoversi o sorriderne.

3) Scrivendolo ero convinta che il romanzo fosse adatto soprattutto ad un pubblico femminile, oggi capisco che se gli uomini superano il preconcetto di leggere di sentimenti, lo potranno apprezzare forse anche di più. La stessa cosa vale per l’età. la protagonista è una cinquantenne, credevo che il target fosse quello… Ieri mi ha scritto una ragazza dicendomi che se le fosse andata male l’interrogazione di greco sarebbe stata colpa mia.

sabato 8 maggio 2010

Un colpo all'anima

Ecco i commenti di una lettrice che ci riporta la rete...

[....]tornata a casa, ho preso in mano il libro che sto leggendo in questi giorni: Meglio dirselo di Daria Colombo... e giù altre lacrime
l'ho comprato per curiosità, lo ammetto.... lei, per chi non lo sapesse, è una delle fondatrici dei girotondini e oggi sostenitrice del popolo viola, da sempre impegnata nel sociale, e ha un marito piuttosto “ingombrante”... un certo Roberto Vecchioni
questo è il suo primo romanzo: racconta la storia di Lara, una donna in crisi su più fronti
Tutto ha inizio con la malattia della madre... Lara rivede se stessa adolescente e ripercorre la sua vita, le sue scelte: il rapporto con un padre molto amato, con cui non è mai riuscita a comunicare e che scopre diverso da come l'aveva creduto... la sua storia con Giorgio, un amore fortissimo che, nonostante la stanchezza, non riesce a spegnersi... gli scontri con i due figli adolescenti, un rapporto impastato d'amore e di rabbia
Non è difficile intuire quanto ci sia di lei in questa figura di donna combattiva, che tutti credono forte ma che nasconde, in realtà, fragilità e paure
questa notte non riuscivo a staccarmi dalla lettura, ci sono pagine che sono un vero e proprio colpo all'anima..

Daria Colombo 8 Marzo 2002

https://docs.google.com/fileview?id=0B7_QSoZ5-CEzZTQyMjUxNzItMDRkOS00ZjZjLTkyNjUtZjY3ZmM2MGRjODgx&hl=en

Meglio Dirselo.... a Verona

Sabato 8 Maggio 2010, Daria sarà a Verona, sua città natale, per presentare Meglio Dirselo. L'appuntamento è per le 17 presso la Società Letteraria di Verona Sala Montanari P.zz.tta Scalette Rubiani, 1, Verona.

sabato 1 maggio 2010

Meglio dirselo....a Roma


Cosa ci impedisce di dire quello che proviamo? E se parlare fosse il primo passo per smettere di combattere da soli la durezza della vita? Lara è stanca. Oltre al lavoro deve occuparsi di una madre colpita dall’Alzheimer, di due figli adolescenti che rifiutano ogni regola, di un marito che forse la tradisce. Sarà il rapporto con il padre, finora grande assente della sua vita, a farle capire che l’amore ha tanti linguaggi. Lara se n’è andata da casa e dalla sua città a vent’anni, dopo il Sessantotto, nell’epoca delle grandi ribellioni e dei grandi ideali, per sottrarsi alla rigidità di una famiglia dalla quale non si sentiva amata. Ma a distanza di oltre trent’anni i conti non tornano. Non sono questi due ragazzi viziati incollati al computer i figli che avrebbe voluto, il rapporto con il marito è in crisi, il lavoro non va, tutto ciò per cui ha lottato le pare un fallimento, e il mondo non è per niente migliore. Ma proprio nell’età dei bilanci la degenerazione della malattia della madre aggredita dall’Alzheimer, e l’impossibilità del marito ad affrontare la situazione da solo, la costringono a tornare sempre più spesso dai genitori, a Parma. Il suo ruolo di figlia è cambiato e, attraverso l’intenso rapporto con il padre, cambieranno anche molti dei suoi punti di vista. Nel suo primo romanzo, Daria Colombo parla, con leggerezza e profondità, della famiglia e della vita che è comunque condizionata dall’infanzia, dei sentimenti che nutrono e soffocano, dell’energia segreta che le donne riescono sempre a trovare in se stesse. Giocando abilmente su vari piani temporali, l’autrice racconta forme diverse che l’amore assume; l’amore che si modifica nel tempo, attraversa tutte le generazioni e spesso non si fa capire. Meglio dirselo.

La presentazione venerdì 23 aprile ore 18.00 Feltrinelli - Galleria Alberto Sordi

Meglio dirselo... a Torino

Lara è stanca. Se n’è andata da casa e dalla sua città a vent’anni, dopo il Sessantotto, nell’epoca delle grandi ribellioni e dei grandi ideali, per sottrarsi alla rigidità di una famiglia dalla quale non si sentiva amata. Ma a distanza di oltre trent’anni i conti non tornano. Non sono questi due ragazzi viziati incollati al computer i figli che avrebbe voluto, il rapporto con il marito è in crisi, il lavoro non va, tutto ciò per cui ha lottato le pare un fallimento, e il mondo non è per niente migliore. Ma proprio nell’età dei bilanci la degenerazione della malattia della madre aggredita dall’Alzheimer, e l’impossibilità del marito ad affrontare la situazione da solo, la costringono a tornare sempre più spesso dai genitori, a Parma. Il ruolo di figlia è cambiato e, attraverso l’intenso rapporto con il padre, finora grande assente della sua vita, cambieranno anche molti dei suoi punti di vista. Nel suo primo romanzo Daria Colombo, parla con leggerezza e profondità, della famiglia, della vita e dell’energia segreta che le donne riescono a trovare sempre in se stesse. Giocando amabilmente su vari piani temporali, l’autrice racconta forme diverse di amore che si trasforma, attraversa tutte le generazioni e spesso non ci fa capire. Meglio dirselo.

Daria Colombo art director e giornalista ha dato vita al movimento dei Girotondi a livello nazionale ed è impegnata in numerose iniziative di solidarietà. E’ sposata con Roberto Vecchioni con il quale collabora da oltre vent’anni. Questo è il suo primo romanzo.

Martedì 27 Aprile
ore 18.00

Daria Colombo
Presenta
Meglio Dirselo

(Rizzoli)
Interviene

Mia Peluso

la Feltrinelli I Libri e Musica

piazza C.L.N. 251

In famiglia è Meglio dirselo: il primo romanzo di Daria Colombo

"Da quando ha sbattuto contro l'infermità di sua madre, Lara chiama i suoi ogni giorno. Le ripetizioni ossessive, le frasi inconcludenti, i prolungati silenzi, le fanno capire che la malattia ha già aperto un varco profondo nella sua mente."
Il primo romanzo di Daria Colombo, conosciuta da tanti per il suo impegno pubblico nella stagione dei Girotondi, è la storia della vita di una donna, Lara, che ha più o meno gli anni dell'autrice, ha alle spalle una giovinezza votata alla politica, insomma è un'ex sessantottina (e la cosa fa pensare che anche in questo ci sia una corrispondenza tra la donna reale e la creatura letteraria) e una famiglia molto impegnativa perché a un marito assente, si aggiungono due figli nell'età peggiore, cioè l'adolescenza .

Lara era uscita di casa giovanissima per andare a vivere a Milano, dove frequentava la facoltà di architettura. La sua era stata una vera e propria fuga dal clima soffocante di Parma dove una famiglia severa e conservatrice era troppo distante dalle sue richieste di ragazza ribelle. Fin dall'infanzia il suo disagio era stato forte e il suo bisogno di affetto insoddisfatto. Il racconto di quegli anni, delle prime esperienze milanesi, nasce dal ricordo di una donna che si trova alle prese con un quotidiano difficile. Il marito, Giorgio, un architetto famoso, amato appassionatamente per tanti anni, oggi le sembra del tutto indifferente ai suoi disagi e alle sue angosce.

I figli si comportano con lei in modo insopportabile e sfuggono a ogni regola, ma tutte le sue preoccupazioni al riguardo vedono ben poca collaborazione da parte di Giorgio, troppo occupato dal lavoro e cieco davanti ai rischi che i ragazzi stanno correndo.
Quando poi a tutto ciò si aggiunge la consapevolezza della malattia della madre, davvero Lara rischia di esplodere. Quella madre amata ma sempre troppo lontana da lei, oggi è malata di Alzheimer e ogni giorno che passa la vede sempre più assente. Lo sgomento davanti a questa situazione e la distanza tra Milano e Parma, la città in cui abitano i suoi genitori, rende poi tutto più difficile.

Ma tra tanti problemi, c'è qualcosa di davvero positivo: il padre, un burbero e intransigente ingegnere, da Lara sentito sempre distante e anaffettivo, viene riscoperto dalla figlia nei settimanali incontri che i due hanno per affrontare insieme la malattia della madre e inizia a costruirsi tra loro un rapporto fatto di affetto, di consigli, di fiducia.

È davvero brava Daria Colombo nel disegnare questo passaggio dall'astio adolescenziale all'affetto adulto, così come nel presentare tutte le difficoltà di quella donna che rispecchia in tanta parte migliaia e migliaia di madri che si trovano impreparate davanti all'uragano dei figli adolescenti.L'ultima parte del romanzo, che non anticipiamo, è drammatica e nella tragicità degli eventi è capace di modificare i rapporti, rivelando una solidità di legami che era stata messa in dubbio. Ma è sempre necessario che siano fatti esterni, magari estremi, a dare consapevolezza alle persone? perché la solitudine in cui tanti si perdono non può essere compensata dalla solidarietà di chi è accanto senza aspettare la tragedia? In ogni caso, come suggerisce nel titolo Daria Colombo, meglio dirselo...

lunedì 26 aprile 2010

Giudizio spassionato di un lettore che passava da li' per caso....

Dalla home page del sito www.vecchioni.it :


Daria, mia moglie naturalmente, presenterà il suo primo romanzo il
20 aprile alla libreria Mondadori in piazza Duomo a Milano alle 18. Voi
sapete tutti che Daria non è una persona banale. Ci ha lavorato oltre
un anno e ne è venuto fuori un intreccio attualissimo di affetti
familiari, di amori raccolti in ritardo e salvati attraverso le parole.
"MEGLIO DIRSELO" è una storia svolta intorno alla tesi che l'infanzia
condiziona l'esistenza, ed è anche un omaggio alla forza delle donne.
Libro intenso e positivo che secondo me vale la pena di leggere.

Roberto Vecchioni

commento al libro di Daria da parte di una lettrice


Decisamente bello. Una bella narrazione,una storia capace anche di commuovermi perchè racconta la vita, per quello che è e puo' essere; per le occasioni mancate e ritrovate; perchè si cade e ci si rialza. Perchè Lara posso e potrò essere io come tante altre, perchè la vita non puoi pianificarla, non puoi decidere: da oggi cambio e tutto andrà comunque bene. Quello che conta è che: "è meglio dirselo" che ci si vuole bene, che si sta sbagliando, che si ha bisogno d'aiuto perchè non è mai banale.
Bellissima la figura del padre, così forte e fragile; quel padre ritrovato a cui si dà appuntamento come ad un innamorato in un caffè del centro.
La stanchezza degli anni, dei rapporti, del "non detto". Tante le riflessioni che mi ha offerto questo libro, un libro all'apparenza semplice, un romanzo, ma scritto con la dovizia del saper raccontare, dell'incedere giusto,del non indugiare troppo.
Quando l'ho chiuso ho guardato la copertina (che già trovavo molto bella) e ho capito che scelta migliore non poteva esserci
Silvia Zingone

mercoledì 31 marzo 2010

DSonline.it

6 Aprile 2003
L'intervento di Daria Colombo




Sono stata incerta se accettare o no il vostro invito, io che ho partecipato e vissuto da vicino numerosi appuntamenti della storia di questo partito, nel quale PERSONALMENTE mi riconosco da sempre. Purtuttavia sono consapevole che senza sceglierlo e probabilmente senza meritarlo, mi trovo oggi a rappresentare un movimento che, nato per la difesa dei diritti, va oltre i confini di un singolo partito e direi anche della stessa coalizione. Ma pur nella consapevolezza di essere in una sede di partito, ho scelto di esserci (e vi ringrazio per l’opportunità), per non alimentare le voci, più o meno forzate, di contrapposizione movimenti-partiti, che purtroppo nuovamente vedo apparire sulla stampa e che a mio avviso non solo sono, nella visione dei movimenti, false e tendenziose, ma anche sicuramente, reciprocamente nocive.

Invitandomi qui il segretario Fassino ha dato ancora una volta dimostrazione della sua attenzione al mondo dei movimenti come abbiamo gia avuto modo di apprezzare in passato. Mi auguro fortemente che il medesimo atteggiamento di rispetto e disponibilità appartenga a tutti i membri di questo partito. Per questo ho scelto di esserci, anche se non ritengo il caso in questa sede, di entrare nel merito del programma da voi proposto: non ne avrei nè il titolo nè il mandato. Sono qui per sottolineare ancora una volta la necessità di dialogo al quale i girotondi contribuiranno con considerazioni, suggerimenti e idee in una grande assemblea dove è auspicabile che TUTTE le voci dell’opposizione abbiano la possibilità di esprimersi liberamente e costruttivamente. Noi infatti guardiamo a questo appuntamento come alla prima tappa di un cammino di medio/lungo termine diverso nei metodi, ma comune negli obbiettivi e con la speranza che in questa assemblea allargata, tutte le voci, dentro e fuori dai partiti, possano realmente confrontarsi e trovare convergenza ed espressione in un comune progetto per la coalizione dell’Ulivo che rispecchi VERAMENTE il grande e variegato schieramento del centrisinistra.

Ciò potrà realizzarsi solo partendo dal riconoscimento di tutti che lo sbocco non può essere predeterminato, ma che dovrà emergere da un confronto vero, che le proprie tesi non vanno imposte ma proposte, certamente difese, ma non senza mettere in conto la possibilità di modificarle.
PERSONALMENTE ritengo indispensabile il presupposto che alla fine del percorso, anche lungo, di un confronto paritario , si produca un programma di governo in cui tutti si riconoscano che possa anche dar vita ad un unico soggetto politico. Ritengo che un luogo permanente di confronto e di dialogo, in via di realizzazione, possa essere non solamente un momento di ricerca comune, ma anche uno strumento dell’area antigovernativa e che il dibattito franco tra tutte le anime che in essa si riconoscono, debba esprimere anche una classe dirigente adeguata, e quando dico adeguata intendo in grado di rappresentare e valorizzare tutte le istanze che esistono nell’ulivo e oltre.

Non posso astenermi, infatti, dall’esprimere qui la dolorosa preoccupazione che accomuna noi dei movimenti alla grande maggioranza della base di questo partito, che ci è stata spesso vicino e ci ha aiutato realizzare le nostre manifestazioni. Mi riferisco sicuramente alle divisioni interne alla coalizione, ma anche alla rinnovata radicalizzazione di una lotta interna ai D.S., ai corposi elementi di divisione e di antagonismo e all’identificazione di persone con linee politiche. Non sono certo queste le basi per andare avanti in un partito plurale, che deve saper esprimere i diversi punti di vista senza mai arrivare ad una frantumazione o peggio a una divisione. Concedetemi un invito A TUTTI ad evitare eccessi e polemiche nella convinzione PERSONALE, che lo sforzo unitario di tutti non escluderà un profilo riconoscibile nel partito che è l’asse portante del centrosinistra.

Non ho difficoltà ad ammettere che anche tra noi esistono posizioni di corposa differenza, ma un movimento che si fonda sul terreno circoscritto della difesa dei diritti avrà sempre, comunque un territorio comune, senza l’obbligo (non facile lo riconosco), che invece deve avere un partito, di trovare convergenza fra tutti i punti di vista.

Oggi più che mai è il momento di una seria e articolata riflessione sulla politica in generale, superando le ormai vecchie e improduttive articolazioni fra sinistra riformista e sinistra radicale e anche sinistra sociale.

Dopo l’esperienza del governo di centro sinistra, la vittoria di Berlusconi e il disorientamento iniziale dell’opposizione, è emerso direttamente dalla società civile, un modo diverso di pensare e praticare la politica.

Non è stato e non è solo un fatto occasionale o fisiologico in risposta a ritardi e mancanze o incomprensioni da parte della società politica della maggioranza e anche dell’ opposizione.O meglio, non solo. L’esperienza dell’ultimo anno,in Italia, ha fatto emergere un ceto medio urbano riflessivo e responsabile, che ha messo in campo esigenze, comportamenti, modi e funzioni della politica, NUOVI, non volendo percorrere per sè, gli strumenti , i metodi e le modalità della vecchia militanza e non necessariamente in posizione antagonista, nè massimalista, né antipolitica, né tantomeno concorrente.

E’ importante capire che il compito di questo modo ed esigenza di pensare e di fare politica, non rappresenta pertanto solo una sorta di “giovinezza” della società civile, che fisiologicamente viene superata dalla maturità della società politica.

Questo è un errore di visione che appartiene a mio avviso soprattutto alla cosidetta area riformista, caratterizzata dal realismo e dalla concretezza e che sembra costretta ma non convinta, a tener conto di quanto espresso in maniera così importante dalla società civile. E questo è, (sempre a mio avviso), un preconcetto teorico e un limite politico.
Nella cosidetta area radicale d’altro canto , pur con le stesse finalità di governo, si rischia secondo me, di assumere la cultura dei movimenti come strumento di lotta all’interno dello schieranento di centrosinistra, col rischio di portare gli stessi movimenti su un terreno politico e su finalità che non gli sono proprie, che snaturerebbero alla lunga la loro essenza e la loro naturale funzione, e che alla fine nuocerebbe ad entrambi.

PER QUESTO è necessario dunque privilegiare un confronto vero e articolato tra tutte le formazioni, sui complessi temi che identificano il vario mondo del centro sinistra, sia quelli presenti nella società civile che nella società politica, che faccia emergere un’ identità culturale e politica per un programma comune di governo, che possa interessare elettoralmente la più ampia articolazione della società italiana in tutte le sue istanze, (economiche, politiche, culturali e religiose).

Questo, a mio avviso, il compito da mettere in agenda da subito, senza questo, credo che il resto risulti inutile , vecchio , dispersivo e perdente.

Concludo ribadendo che la mia scelta di non entrare in merito al programma non è dovuta nè a reticenza nè a insufficenza, ma politicamente rimandata alla prima tappa di quel cammino comune per il quale lo sforzo, da parte di questo partito e del suo segretario è (e questo si, mi sento tranquillamente di attestarlo), apprezzato CERTAMENTE dalla grandissima maggioranza degli appartenenti al movimento che in qualche modo rappresento.

lunedì 29 marzo 2010

Intervista a Daria Colombo, una delle promotrici del movimento dei girotondini


ROMA - E' il 14 settembre 2002. Un milione di persone invadono piazza san Giovanni a Roma. E' la consacrazione del movimento dei girotondi. Oggi, a distanza di sette anni, piazza San Giovanni si appresta a essere riempita nuovamente. Stavolta da un movimento che nasce da Internet e che grazie alla Rete si sviluppa. Daria Colombo era una delle animatrici della stagione dei girotondi, che certo non ha più toccato le vette di San Giovanni, ma ha fatto sentire i suoi effetti in mille modi: "Eravamo partiti con un volantino e tanta speranza. Chiamavano a raccolta i cittadini intorno a quei palazzi che rappresentavano un simbolo di diritto. Poche decine all'inizio, un milione alla fine".

Vede differenze tra le vostre motivazione e quelle del No B-day?
"No, anzi direi che oggi le cose vanno ancora peggio. Quei diritti che difendevamo allora vanno difesi ancora oggi. E con forza"

Voi usavate i volantini, oggi tutto nasce su Facebook e sui social network.
"E' vero. Ricordo il nostro primo volantino che distribuimmo anche al mercato. Poi, certo, utilizzavamo le mail, ma questa è una generazione più giovane, che parla un linguaggio diverso. Ma è un bene che ci sia e che si muova così".

Che idea si è fatta dei promotori del "No B-day"?
"Ho parlato con alcuni di loro e mi pare che abbiano avuto un'idea splendida e che si muovano con grande entusiasmo e passione. Sono sinceri quando dicono che vogliono tener fuori i partiti ed è vero che nascono dalla società civile".

Di cui si può certificare la rinascita?
"La società civile non è mai morta. Certo, quel movimento non ha più toccato certe vette, ma continua a far politica in varie forme, magari meno visibili. La sua nascita, però, ha segnato un cambiamento irreversibile".


Dalla società civile ai partiti. Dal "No B-day" viene un secco altolà, il Pd sembra diviso mentre Di Pietro non perde occasione per sottolineare la sua partecipazione alla manifestazione."Al Pd dico che farebbe bene a capire questo movimento e a dialogarci, altrimenti non capisco a che serve il Pd".
Sabato la manifestazione: lei come visse l'attesa del giorno prima?
"Serenamente, anche perché si avvertiva che la partecipazione sarebbe stata enorme. Ero più tesa prima del primo girotondo, aspettavamo 50 persone ne sono arrivate mille".

Che rischi corrono quelli del no B-day?
"Da una che c'è passata....mantengano l'autonomia dai partiti ma ci dialoghino e così facciano i partiti senza cercare strumentalizzazioni".

Questi sono i rischi esterni e quelli interni?
"Un movimento è fatto di tante teste diverse, che magari non la vedono allo stesso modo su tutto ma sono d'accordo sui principi fondamentali come quello della difesa della Costituzione. Ecco, per questo possono farne parte anche persone di centrodestra che non vanno additate o escluse. Democrazia è anche questo".

E del dopo 5 dicembre che idea si è fatta?
"Difficile dirlo. Bisognerà vedere se avranno la forza e la volontà di trasformarsi in qualcosa di più stabile".

Ultima cosa, sabato suo marito Roberto Vecchioni sarà sul palco. Lei sarà in piazza a Roma?"Certamente".

di MATTEO TONELLI
La Repubblica 04 dicembre 2009

L'Unità - Impariamo dagli errori passati

LA PIAZZA E IL PD IMPARIAMO DAGLI ERRORI PASSATI -
di Daria Colombo
Ma chi glielo ha fatto fare all’insegnante in pensione Costanza Lunardi, di sessantadue anni, che guadagna 1200 euro al mese, di spenderne 120 di treno e passarci su 12 ore in un giorno, partendo da Lonato, un paesino vicino a Brescia, per andare a Roma, camminarne altre cinque e tornare indietro in giornata? E a Toni Rossetti imprenditore di Avellino? O a Laura Orlando laureanda in legge? L’elenco potrebbe essere lungo e poco importa se la cifra è quella della questura o quella degli organizzatori della giornata del “No-B day”. Resta inevasa la domanda e le numerose domande che la piazza viola ha sollevato e che un giornalista avrebbe il dovere di porsi. Sono talmente appagati dalla realtà quotidiana e annoiati dalla nostra politica, così parca di sorprese e colpi di scena i nostri giovani, i nostri pensionati, i nostri professionisti da inventarsi una scampagnata collettiva, nella pur sempre bella capitale? Ci si augura che anche chi non ha condiviso la protesta ne condivida almeno le motivazioni, che altrimenti protesta assai più forte dovrebbe essere organizzata. A parte l’assoluto elemento di originalità che ha caratterizzato la giornata, nata e organizzata sulla rete, dispiace che a qualcuno sia sfuggito che tra questa manifestazione e quella autoconvocata nella stessa piazza dai girotondi, nel 2002, qualcosa in questi anni è accaduto. Per esempio che il Partito Democratico è nato proprio per sopperire alla difficoltà di dialogo con la base intesa non più solo come l’insieme degli iscritti, ma anche di tutti gli elettori. Per esempio che nel nuovo partito dovrebbero sentirsi a casa loro non solo gli appartenenti ai vecchi partiti ma anche quella società civile che a loro fianco (e non contro di loro) fa da anni opposizione. Per esempio che in questi anni laddove la politica ha cambiato le sue forme aprendosi verso i cittadini è stata puntualmente premiata (vedi primarie), e che se anziché unire in un'unica opposizione ricominciamo a dividere buoni e cattivi, quelli che hanno il diritto e quelli che no, è certo che Berlusconi ce lo terremo ancora a lungo. Può essere comprensibile la mancata adesione del Segretario del maggiore partito di opposizione a una piazza che chiede le dimissioni del presidente del consiglio, a favore di un’opposizione parlamentare e istituzionale, lasciando ai suoi iscritti, dirigenti e simpatizzanti la libertà o meno di partecipare. Forse, se si fosse preoccupato appena eletto di mantenere la promessa di creare nuove, necessarie strutture permanenti di raccordo tra Partito e società, la manifestazione la si sarebbe potuta costruire insieme, decidendo insieme contenuti, modi e finalità. Auguriamoci che accada in futuro. E auguriamoci anche di non rileggere sull’argomento, a distanza di anni, gli stessi identici articoli che già non c’erano piaciuti la prima volta. DAI GIROTONDI ALL’ONDA VIOLA GIORNALISTA

7 dicembre 2009
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 19) nella sezione "Forum"

L'unità - Ci saremo anche noi

«Ci saremo anche noi in piazza San Giovanni»di Daria Colombo Roberto Vecchioni
Ci saremo per rinsaldare le fila Ci saremo naturalmente anche noi alla prossima, grande manifestazione dell'Opposizione da voi proposta, direttore. Ci saremo nella forma con cui l'Unità riterrà che anche noi potremo fare la nostra parte. Ci saremo perché quel giorno, a piazza S. Giovanni, pensavamo di aver toccato il fondo della vergogna istituzionale e non sapevamo che il peggio era ben lungi a venire. Ci saremo perché non un solo giorno, dall'insediatura di questo governo, mai sono venuti a mancare i motivi validi per protestare, né, ne siamo purtroppo convinti, mancheranno fino alla fine di questa sciagurata legislatura che massacra i diritti senza nemmeno più preoccuparsi di salvare le apparenze e che tenta di distruggere quanto di sano e di pulito questo paese orgogliosamente conserva. Ci saremo, in modo convinto e costruttivo, perché siamo certi che la somma delle scontentezze (ché mai un governo ha toccato in negativo settori così ampi e svariati della società), unendosi in un'unica voce potrà dare la cifra di quanti siamo ed alimentarci a vicenda. Ci saremo anche nella speranza che lavorare e ritrovarsi insieme, gente dei partiti, associazioni e movimenti, possa servire di sollecitazione a tutti noi per rinsaldare le fila di chi non ci sta. E perché vengano affrontate a livello politico, in particolare da chi ha maggiori responsabilità, nel modo più serio e unitario possibile, le prossime scadenze elettorali che potranno finalmente liberare la nostra democrazia umiliata dal rischio che corre ogni giorno. Serve l’unità del centrosinistra Aderiamo all'appello lanciato dall'Unità per tornare in piazza San Giovanni, dove è necessario essere in molti. Ma non può bastare la manifestazione di un giorno per fermare il flagello del berlusconismo. Dove sono i partiti del centro-sinistra? Dove è la loro determinazione per fermare una volta per tutte Berlusconi, con una rigenerante unità politica e programmatica? Chiediamo ai partiti di opposizione, tutti, che sperimentino sin da subito l'unità sotto la Grande Alleanza Democratica e che, anche grazie al lievito dei movimenti, si impegnino una volta per tutte, senza meschinità e logiche di corridoio, a stare insieme. Questo è quanto chiedono gli elettori. I partiti hanno la grande responsabilità di alzare il livello politico della discussione perm tirar fuori dalla tragedia il nostro paese. Noi, ribadiamo, ci siamo e siamo pronti a lavorare insieme. Ornella De Zordo, Unaltracittà/Unaltromondo, gruppo consiliare Firenze La mobilitazione è ossigeno Non si può che aderire alla proposta di Padellaro che pone la difesa della Costituzione repubblicana e il “no” alla riforma della giustizia varata dal governo (per fortuna in stand by grazie al presidente Ciampi) al centro di una “San Giovanni bis”. A incoraggiare nella mobilitazione ci pensa anche il ritorno in piazza dei girotondi di qualche giorno fa in occasione del decreto “salva Previti”. Basta leggere le pagine de l’Unità di questi giorni per capire che la proposta del quotidiano ha colpito nel segno. Rimettere in moto idee, proposte, persone, gruppi e associazioni è ossigeno per la politica del centrosinistra che altrimenti rischia di impantanarsi tra veti o progetti fumosi di federazioni unitarie. Aldo Garzia, Direttore responsabilr di Aprile Diciamo basta Aderiamo con entusiasmo alla proposta lanciata dal Condirettore de l’Unità Antonio Padellaro per una grande manifestazione popolare, capace di unire tutte le forze politiche del centrosinistra, dei movimenti, delle associazioni, di semplici cittadini, per dire BASTA a questa maggioranza arrogante ed eversiva. Una mobilitazione tanto ampia per rilanciare le nostre proposte e il nostro programma, per dire chiaramente che quando torneremo al governo saranno cancellate leggi profondamente ingiuste e sbagliate, che lotteremo fino allo stremo per difendere e valorizzare la nostra Costituzione e soprattutto per dare a tutti, innanzi tutto ai giovani, una speranza per il futuro. Associazione Il Campo-Idee per il futuro Faremo la nostra parte Cara Unità, siamo pronti a fare la nostra parte. Ci trova pienamente d'accordo, infatti, la proposta di Antonio Padellaro. I Democratici di Sinistra di Roma non solo saranno presenti in piazza, ma offriranno tutta la loro struttura organizzativa, il loro impegno e la disponibilità per la massima diffusione e, quindi, per una mobilitazione di massa che garantisca il successo pieno della manifestazione. Per ora, un grazie per aver avanzato e dato voce a quella che, data la risposta spontanea e immediata di cittadini, movimenti e partiti, è un'ottima proposta. Massimo Pompili segretario Federazione romana Ds La carica dei lavoratori Ci saremo anche noi, con i lavoratori del Veneto che chiamiamo in tanti in Piazza San Giovanni. Li invitiamo a costruire la partecipazione in ogni luogo di lavoro e venire con gli striscioni unitari delle Rsu, oltre che con quella grande carica che li ha sempre contraddistinti. Diego Gallo, Segretario Generale Cgil Veneto In piazza tutti gli uomini liberi Sì,è vero, è tempo di scendere in piazza. Girotondi e movimenti tutti lo faranno in occasione del passaggio al Senato della “salva - Previti” e sarà solo il prologo d’una grande ed inclusiva manifestazione nazionale che, come felicemente auspicato da Antonio Padellaro, chiami a raccolta tutti gli uomini liberi e fieri di opporsi - senza graduatorie o primogeniture - al decadimento che questo governo vuole imporci. Giuliana Quattromini, Girotondi Napoli

21 dicembre 2004
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 5) nella sezione "Politica"

L'Unità - No, non siamo andati a casa

No, non siamo andati a casa
di Daria Colombo
«Che fine ha fatto la società civile?» si domanda Antonio Padellaro nell'editoriale di sabato, giustamente disgustato, come tutti noi, dall'ignobile stravolgimento ad uso e consumo del governo, della nostra Carta Costituzionale e dal relativo festeggiamento berlusconian-leghista, con roselline bianche, in piazza Montecitorio. Dov'è finito, si chiede, il popolo di piazza San Giovanni ora, che “un ordigno della potenza di cento leggi Schifani e Cirami minaccia la nostra democrazia”, rischiando di condurre l'Italia in un vicolo cieco senza ritorno? Non esiste, naturalmente, una sola risposta, ma ritengo che qualsiasi tentativo di trovarla debba partire necessariamente da due considerazioni fondamentali: difficilmente un movimento, e quello di cui parliamo e al quale appartengo, non fa eccezione, può essere considerato un'entità omogenea e inoltre non può nemmeno, per sua natura, darsi un'organizzazione permanente e definitiva che lo trasformerebbe di fatto nel surrogato di in un partito. Entrambe le cose hanno aspetti positivi e negativi. Le diversità e originalità intrinseche ad un movimento di tipo nuovo, nato sulla difesa dei diritti (diversità che, dal mio punto di vista, non sono quasi mai di merito, ma di metodo e di funzione) ne costituiscono senz'altro la ricchezza ed anche uno dei motivi del grosso seguito, ma emergono quasi sempre in maniera prepotente nelle fasi immediatamente successive alle grandi manifestazioni, trasformandosi spesso in elemento paralizzante. Dopo importanti eventi di piazza, scaturiti da un particolare contesto storico e da situazioni oggettive, taluni tra i cosiddetti leader mediatici prendono come un successo personale quello che è esclusivamente un successo collettivo determinato da esigenze di nuova partecipazione e socialità, dimenticano di non essere rappresentanti di nessuno, rinunciano definitivamente alla pazienza della mediazione, anzi la demonizzano (che di duri e puri, si sa i movimenti sono costellati), pretendono di “dettare la linea” e creano così disorientamento in chi segue, con defatiganti distinguo e teorizzazioni superflue, trascurando sostanzialmente che “fare movimento” è l'unico scopo del nostro esistere. Gli altri elementi di forza di un movimento, la spontaneità e l'estemporaneità, fanno sì che esso non possa avere vita continuativa, il che però non va necessariamente considerato un male, né un limite di senso. Tento di spiegarmi partendo dall'affermazione di Padellaro che “in politica, come in molte cose della vita, ciò che non resiste non esiste”. Io credo, invece, che esistano in politica, e in molte cose della vita, anche l'evoluzione e la trasformazione e anche l'inevitabile chiusura di alcuni cicli, necessaria per aprirne altri, il che non significa affatto un fallimento, a patto che l'esperienza prodotta abbia maturato idee e consapevolezza valide a produrne appunto di nuove, di maggior peso ma anche di minor rilevanza. Mai, nemmeno per un istante ho pensato che non fosse questo il nostro caso. Lo so, lo vedo quotidianamente. Vorrei rincuorare Padellaro garantendogli che, a fronte di una Montecitorio silente, decine di iniziative, sparse su tutto il territorio italiano, scollegate tra loro (e questo è un limite), esprimevano il loro sgomento ed il loro desiderio di manifestarlo, se pur in modo mediaticamente ininfluente (e questo è un limite ancor maggiore). È importante ricordare che a fianco di un sostanziale aumento di iscrizioni ai partiti di centrosinistra e di reali nuovi elettori, esistono anche una la miriade di gruppi e di associazioni, nate dall'esperienza di piazza S. Giovanni e non solo, che pongono la partecipazione politica, agita in modo non tradizionale, alla base del loro essere. Esiste insomma, un riavvicinamento sostanziale alla vita politica del paese, con modalità e forme diverse ed individualizzate, basato oggi su un impegno reale, se pur non coordinato a livello nazionale (ma non per questo poco importante), in cui i girotondi hanno giocato un ruolo importante. Ma andiamo avanti… Può benissimo essere che alcune delle persone che hanno dato vita al fenomeno dei girotondi sentano “di aver esaurito il proprio compito nella spinta propulsiva data ai nostri parlamentari che si battono nelle aule parlamentari quasi sempre ai limiti delle loro possibilità”, non mi sento affatto di escluderlo. Come pure non mi sento di escludere che la miopia dei partiti nell'aprirsi o nel chiudersi ai movimenti in modo spesso strumentale, abbia demotivato definitivamente alcuni partecipanti occasionali di cui si compone il movimento, i quali non tengono nel debito conto che il necessario processo di rinnovamento dei partiti richiede inevitabilmente tempi lunghissimi ed è destinato ad incontrare anche grosse resistenze. E non mi sento inoltre neanche di escludere che una certa linea di contrapposizione tra le due realtà, movimenti e partiti, abbia giocato un ruolo di allontanamento per chi aveva fatto dell'unità, oltre alla difesa dei diritti, il centro del proprio impegno. Vale la pena ricordare ancora una volta, che la conquista di risultati concreti potrà essere realizzata solo tenendo sempre presente, nel rispetto reciproco, la diversità delle funzioni, insomma: i partiti devono fare i partiti e i movimenti devono fare i movimenti, senza confusione di ruoli o di prerogative, come a volte succede. Talvolta ai partiti fa comodo avere chi grida (mentre talvolta ne vengono disturbati), ma loro devono fare il loro lavoro a prescindere da ciò e, ovviamente, in modo continuativo, senza pensare che debbano esserci i movimenti ad urlare al posto loro. Ricordiamoci inoltre che i partiti hanno il dovere di ascoltare tutto ciò che si muove nella società, ma non il diritto di pretendere e neppure di chiedere, che i movimenti non agiscano autonomamente, cosa che deve avvenire secondo le loro specifiche esigenze, le loro spinte, le loro possibilità e capacità di presa. E proprio perché siamo cittadini che si organizzano in modo tematico e s'infiammano su argomenti cruciali, è normale che ci siano delle pause, mentre sarebbe più grave che se le prendessero i partiti. Ma non possiamo neppure dimenticarci che esiste una parte di società civile che si è sentita tradita da chi ha trasformato la difesa dei diritti in un incessante attacco ai partiti o addirittura nella pretesa di sostituirsi ad essi. Molte persone inoltre, si sentono schiacciate da un sentimento d'impotenza davanti all'inesorabile percorso di scempio della democrazia che sta compiendo l'attuale governo e anche, non possiamo non tenerne conto, annichilite dall'agghiacciante quadro internazionale, il quale fa apparire quasi poca cosa perfino le nostre drammatiche vicende italiane. Ma la domanda di fondo resta e voglio tentare di dare una risposta, pur senza la pretesa che sia quella assoluta. Esiste ancora, direttore, una cittadinanza attiva e consapevole, forse oggi più silenziosa, ma che non lo sarà certamente per sempre. Sono tanti i cittadini contrari a questo governo che sentono che la politica non è solo quella che si fa in Parlamento, ma anche in tanti altri luoghi, e, no, non è vero che “tutte quelle persone se ne sono semplicemente tornate a casa”. E comunque, se pur lo avessero fatto (non dimentichiamoci che i movimenti sono composti da volontari che spesso fanno i conti con la realtà, talvolta piacevole, talvolta sacrificata, della loro vita), resto convinta che “se ne siano tornate a casa” con una consapevolezza differente, la quale produrrà comunque dei frutti, come avviene per ciascun movimento che è anche di pensiero. Certamente, oggi siamo in un momento diverso da quando, all'inizio di questa sciagurata legislatura, andare in piazza voleva semplicemente dire assolvere ad un dovere individuale, oserei dire quasi esclusivamente etico, oggi che un po' di acqua è passata sotto i ponti e che la situazione italiana si è definita in tutta la sua drammatica pericolosità, si mira anche ad un risultato concreto, il che difficilmente potrebbe essere prodotto da un un'unica, pur imponente manifestazione (un'altra S. Giovanni non otterrebbe, oggi, per capirci, il medesimo risultato di allora, proprio per il fatto di non essere la prima). Per questo, ben consapevoli dei rischi che sta correndo la democrazia, si sta pensando in questi giorni, ad una mobilitazione altrettanto importante, che coinvolga più gente possibile, da realizzare se pur con modalità diverse, su tutto il territorio italiano, attuata anche in momenti diversi ma coordinata e pensata in concerto tra le varie realtà, come un'enorme staffetta di tempi e di luoghi. Oltre a creare informazione sul tema, dovrà produrre un serio risultato specifico: l'abolizione di questa ignobile controriforma della Costituzione, attraverso il referendum. Il movimento in tutte le sue componenti, si sta riorganizzando su questo progetto. Nel frattempo, è con lo stesso spirito di servizio, con la medesima tenacia e desiderio di supplire alla disinformazione faziosa e colpevole, egregiamente descritta da Padellaro, che si terrà il prossimo lunedì, a Milano, una coraggiosa iniziativa sulla riforma dell'Ordinamento Giudiziario, che verrà votata al Senato il giorno successivo. Sappiamo già che questa riforma, altamente lesiva dell'autonomia della magistratura, passerà, sappiamo anche che probabilmente, per tutti i motivi che si è tentato di dire e per molti altri ancora, non ci sarà tutta “la Milano del Palavobis” a gridare con noi il proprio sdegno, sappiamo già che non guadagneremo i titoli in prima pagina e che potrebbe anche esserci qualcuno a dirci “dovevate fare di più”, ma noi continueremo ugualmente, con i nostri mezzi, con i nostri linguaggi e le nostre possibilità a tentare di promuovere cittadinanza consapevole e attiva. In attesa di essere considerati “emotivamente instabili”, saranno con noi, domani sera alle 21, al Teatro Dell'Arte, alcuni giudici di varie correnti della Magistratura, come Armando Spataro, Claudio Castelli, Pier Camillo Davigo, Fabio Roia e Piero Martello, oltre ai generosissimi Paolo Hendel e Marco Travaglio. Mi auguro che una sala strapiena e partecipata, rassicuri il direttore, e noi con lui, che la società civile non ha per nulla rinunciato ad esserci, e che dimostri invece, una volta di più, di avere ancora tanto fiato in gola per urlare i propri no, e anche tanta, tanta, energia per le necessarie battaglie a venire. movimento@girotondiperlademocrazia.it

25 ottobre 2004
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 26) nella sezione "Commenti"

L'Unità - Elezioni Europee 2004

Votare, votare, votare. E non solo
di Daria Colombo
Quali sono i motivi per andare a votare sabato e domenica? Potremmo parlare del post fascismo di Fini, della volgarità di Borghezio, della demagogia strumentale del “meno tasse per tutti” o dell'arroganza di un presidente del consiglio, candidato ineleggibile, che non accetta alcun contraddittorio ed insegue, dichiarandolo sfacciatamente, la pericolosa china del cinquantun per cento, alla faccia dei suoi stessi alleati. Potremmo citare le miserabili polemiche sulla rovinosa guerra in Iraq, osteggiata di fatto dall'intero centro sinistra e sostenuta di fatto dall'attuale centro destra. O potremmo ironizzare sull'ottimismo fasullo del governo riguardo ad un'economia sempre più in declino, con la gente che stenta ad arrivare alla fine del mese. Potremmo ricordare le svariate leggi “ad personam” e le reiterate minacce all'autonomia della magistratura, oppure le sbandierate “riforme” della scuola e della salute, destinate ad aumentare sempre più il divario tra cittadini facoltosi e quelli meno abbienti. Potremmo ricorrere ancora una volta ai nomi di Biagi, Santoro e Luttazzi, esempi di discriminazione non certamente isolati, in un'informazione che ben poco ha conservato del pluralismo dovuto ai cittadini. Potremmo perfino far leva sul diffuso sentimento di ingiustizia e sull'istinto di rivalsa che ci prende davanti alla marea di spot che sommerge l'elettorato, in una sproporzione propagandistica evidente ed offensiva, dovuta esclusivamente allo strapotere economico. Potremmo... Ma ferma restando la validità di questi e di molti altri argomenti, credo che uno su tutti sia quello che debba spingere coloro che hanno riempito le piazze negli ultimi due anni e mezzo, e non solo loro, ad esprimere massicciamente, attraverso il voto, un dissenso “senza se e senza ma” nei confronti dell'attuale governo di centrodestra, e cioè la maturata consapevolezza che la partecipazione dei cittadini alla vita politica del paese è lo strumento essenziale per garantire non solo l'efficienza, ma la stessa soppravivenza del nostro sistema democratico. Vale la pena di sottolineare qui che l'elemento fondamentale che ha fatto nascere e sviluppare i movimenti di ultima generazione é proprio la riscoperta della volontà di partecipare, contrappasso positivo al richiudersi nel privato o nel lavoro che ha caratterizzato, con qualche eccezione, la società negli ultimi vent'anni. Essere cittadini consapevoli e responsabili oggi non significa più solo consegnare ad un'urna la propria preferenza e delegare esclusivanente agli eletti la gestione della cosa pubblica. La mentalita della delega “tout court” e... “ne riparliamo alle prossime elezioni”, fa parte di una logica superata a favore di una rinnovata volontà di contare, e, perchè no, di condizionare la vita politica del paese, della maggioranza o dell'opposizione, anche attraverso percorsi diversi da quelli tradizionali. Questo ha riempito di nuovo le piazze di folle di tutte le categorie sociali, storiche o recenti. Questo ha fatto nascere, di fronte all'emergenza democratica che attanaglia il nostro paese, una miriade di nuove aggregazioni e di nuove formule espressive in difesa dei diritti. Questo è ciò che potrà contribuire fortemente a cambiare il volto e la stessa essenza di una politica paludata, nella quale la gente sente spesso, a torto o a ragione, di non riconoscersi. Questo, infine, senza nulla togliere alla battaglia parlamentare delle opposizioni, è l'elemento di novità politica dell'infelice era berlusconiana, e ci auguriamo fortemente che coloro che voteremo lo valutino nel giusto significato: come un fenomeno cioè, indiscutibilmente importante e non transitorio, con il quale confrontarsi e soprattutto da non guardare con sufficienza. Fenomeno importante ed originale, dicevamo, che però, si badi bene, non disconosce affatto, nè certamente prescinde, da quello che resta il principale strumento di partecipazione democratica: la possibilità di tutti i cittadini di esprimersi attraverso il voto. C'è un collante che lega fortemente le diversità contenute in un movimento nato sulla difesa dei diritti: la preoccupazione che le scelte dell'attuale governo svuotino di significarto i valori fondamentali della nostra democrazia, ci sembra doveroso sottolineare in questo momento, che tra i valori che dobbiamo continuare ad affermare, persiste sicuramente la libertà di esercitare consapevolmente il diritto di voto. Vale sempre, comunque, la pena di votare, ed è significativo quanto siano più che mai valide ed attuali le argomentazioni a sostegno di questa tesi che si usarono nelle prime elezioni libere del dopoguerra, quando la parola democrazia non era data per scontata dalle nuove generazioni: l'esempio per chi non ne ha ancora capito il valore, il rispetto verso coloro che ben lo comprendono ma non possono esercitarlo, il riscatto di chi, per conquistare questa possibilità, ha lottato e sofferto o addirittura ci è morto. Ma anche, semplicemente, l'acquisizione del diritto di critica o di chieder conto, domani, ai nostri rappresentanti, che può esserci consentita solo dall'aver esercitato il nostro diritto-dovere di elettori. Vale sempre, comunque, la pena di votare, perfino quando si sa di perdere, per la pura affermazione delle proprie idee e del proprio diritto ad esprimerle, ma vale più che mai nei momenti difficili della nostra democrazia come quello attuale, in cui s'intravede tuttavia la possibilità di una sensibile affermazione del cenrtrosinistra, il che significherebbe non soltanto un forte segnale di cambiamento nel paese, ma anche la riaffermazione dei diritti e dei valori per i quali ci siamo mossi e che ci accomunano tutti, noi dell'opposizione, gente di partito o di movimento. Lasciandoci tentare da cinismo, scoramento o frustrazione, non aiuteremo certo il paese nè con la rinuncia, nè con un'astensionismo di protesta, ma di contro, sarebbe assolutamente drammatico, nell'attuale momento storico, ritrovarsi a dire, dopo, che abbiamo perso per una manciata di voti. La scelta di trasversalità del movimento Girotondi per la Democrazia del quale facciamo parte, ci obbliga a non dare specifiche indicazioni di voto, poichè la preferenza di alcuni potrebbe non coincidere con la preferenza di altri, ciascuna legittima, ciascuna rispettabile. Tantomeno crediamo che in questo momento politico tocchi a noi esprimere candidature, nè spingere o sostenere questo o quel candidato (quelli emersi dall'esperienza del movimento infatti, correttamente “portano in dote” esclusivamente la loro storia personale e le loro idee), ma vale la pena una volta di più, di sottolineare l'importanza che le nuove forme della politica, così creativamente espresse da nord a sud del paese, vengano ad affiancarsi alle forme sane che la politica tradizionale ci ha consegnato, in primis il diritto di votare. Un' ultima riflessione. Persiste in Italia la tendenza a considerare le Europee come elezioni non determinanti nella vita politica, ma la difesa della pace nel continente e nel mondo, la salvaguardia degli interessi economici del paese (il problema del prezzo del petrolio, per esempio, sarà sicuramente affrontato meglio con la prospettiva di una moneta europea, che con la nostra vecchia lira) e il tema della difesa dei diritti, per noi determinante, non possono oggi prescindere da un' unione dei popoli europei più forte e più consapevole, tutti noi pagheremmo molto cara l'ingenuità di non capire che i temi legati all'Europa, sono tutti temi assolutamente fondamentali anche per il nostro paese. Non perdiamo l'occasione, sabato e domenica, di esprimere insieme alla nostra preferenza, qualcosa di nuovo, anzi di antico: la forza della partecipazione ed il rispetto per una politica alta, espressione autentica dell'opinione della gente comune. Scegliamo ciascuno la lista, la persona, il programma, che più ci hanno convinto, i più vicini alla sensibilità individuale di ciascuno di noi, ed esprimiamo con lo strumento essenziale che la democrazia ci mette a disposizione, il voto, pure la rinnovata consapevolezza che “se pur noi non ci occupassimo di politica, la politica comunque, si occuperebbe di noi”, facendolo con idee e strumenti che potrebbero anche non piacerci per niente. movimento@girotondiperlademocrazia.it

12 giugno 2004
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 26) nella sezione "Commenti"

L'Unità - Il nostro impegno di sempre

Il nostro impegno di sempre
di Daria Colombo
Ho letto con interesse le dichiarazioni rilasciate a Firenze da Antonio Di Pietro e da Achille Occhetto, ampliamente riportate dai quotidiani, e mi viene a tale proposito spontanea qualche modesta considerazione. Me ne danno lo spunto anche le puntuali dichiarazioni dei Girotondi per la democrazia di Firenze che precisano “che non costituiranno alcun partito, né entreranno a far parte di liste per le prossime elezioni amministrative ed europee”. Essi dichiarano anche, ed io lo condivido, che “il ruolo dei Girotondi per la democrazia è quello di difendere la Costituzione dai continui attacchi e dalle manomissioni operate dal Governo Berlusconi e di sollecitare la partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica”. A questo proposito vale la pena di ricordare il presidio permanente che già da dieci giorni ha preso vita davanti alla sede Rai di Milano, lanciato dai movimenti e girotondi della Lombardia. 24 ore su 24 numerosi cittadini milanesi, anche assai diversi per estrazione e convincimenti politici, si “turnano” volontari per tenere accesa una simbolica “fiaccola della speranza”: la speranza che la Gasparri, considerata un grave pericolo per il diritto ad un'informazione plurale, quindi per l'intero sistema democratico, non diventi una legge dello stato italiano. Ritengo che questa, come d'altra parte tante altre numerose iniziative “girotondine” di coinvolgimento della gente in modo trasversale e di svolgimento di una funzione mediatica supplente ad un'informazione sempre più mutilata, ben esprimano lo spirito essenziale che ha fatto nascere il movimento dei girotondi. Gli amici di Firenze affermano inoltre, a mio avviso giustamente, che “i girotondi sono stati e sono stimolo e pungolo dei partiti di opposizione affinchè svolgano un'azione ferma e incisiva nella difesa dei diritti e delle libertà e perché sappiano rinnovarsi e raccogliere le richieste della società civile”. “I Girotondi - proseguono - non hanno l'obiettivo di sostituirsi ai partiti ma, secondo quanto chiesto da milioni di cittadini, agiscono per l'unità di tutte le forze del centro sinistra, da Rifondazione a l'Italia dei Valori, perché possano tornare al più presto al governo in Italia”. Anche a titolo personale ritengo valga la pena di “spingere” tutti insieme per arrivare alla realizzazione di una lista unitaria del Centro-Sinistra che non escluda nessuno, anche se resto tra quelli che ritengono che sarebbe stato sicuramente più opportuno far partire l'iniziativa dal basso, o perlomeno proporla dopo una ben larga consultazione. Un po’ meno d'accordo mi trova l'idea che nell'eventualità che questo non si realizzi, si dia vita ad un'altra lista di sinistra, perché penso disorienterebbe la gente e creerebbe ulteriori divisioni e ritengo inoltre che parlarne ora non contribuisca in ogni caso a lavorare per unire. Ma la cosa più importante che tengo a sottolineare è l'impegno sempre dichiarato dei girotondi in quanto tali, di non entrare, nè promuovere alcun tipo di lista, lasciando la legittima scelta ai singoli, noti o meno, naturalmente liberi di operare le scelte che ritengono più opportune. Altri non sono che una semplice cittadina, impegnata nella difesa dei diritti, è veramente troppo ingenuo chiedere a tutti, ma proprio tutti, i partiti del centro-sinistra di sedersi attorno ad un tavolo insieme a noi, per cercare ancora di realizzare l'unica soluzione possibile che ci permetterebbe di sperare di sconfiggere il centro-destra? Mi riferisco naturalmente alla realizzazione di una lista unitaria che possa realmente definirsi tale.

14 dicembre 2003
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 25) nella sezione "Commenti"

L'Unità - Piccolo manuale dei Girotondi

Piccolo manuale dei Girotondi *
di Daria Colombo
Il disinvolto abbinamento del termine 'girotondi' alle 'camicie verdi di Bossi sul piede di guerra', le grottesche affermazioni di un autorevole esponente del governo alla trasmissione Ballarò a sostegno della tesi che i girotondi siano 'un movimento contro le istituzioni' , l'inevitabile confusione creata dalle semplificazioni giornalistiche (alcune in buona fede, altre faziose), impongono un chiarimento su ciò che realmente siano e non siano i girotondi. Per capire occorre rifarsi all'inizio, a circa un mese prima dell'ormai famoso 'urlo di Moretti'. Era in atto in quei giorni il tentativo da parte del ministro Castelli di rimuovere il giudice Brambilla dal processo Sme, primo dell'infinita serie di smaccati tentativi per vanificarne il corso (come ben evidenzia la modifica della legge sull'immunità, di questi giorni). Uno sparuto gruppo di amici milanesi indignati per quanto proposto ed imposto dal governo di Berlusconi in tema di giustizia, (ma anche informazione, salute, lavoro e scuola), decise che era giunto il momento di tentare di fare qualcosa. Dico la verità: quel tentativo era qualcosa che apparteneva più alla nostra coscienza che all'illusione di poter realmente contribuire a modificare la situazione, l'opposizione stessa ci appariva silente rispetto alla gravità di quanto stava accadendo. Come avremmo potuto noi, semplici dilettanti, equipaggiati solo di buone intenzioni incidere in qualche modo sulla vita politica del paese? L'idea che ci frullava nella testa era quella di una protesta che anche nella sua forma non potesse in alcun modo suscitare equivoci: qualcosa il più vicino possibile ad un 'abbraccio protettivo' di alcuni degli edifici simbolo della nostra Costituzione. Scegliemmo di tenerci per mano, forse per paura, forse perché solo tenendosi per mano si possono affrontare le battaglie già perse: nacque così l'idea del primo Girotondo per la Democrazia. Da lì un percorso noto a molti: le mail, le telefonate, la ricerca di adesioni altisonanti, le numerose fotocopie distribuite in tutta la città da amici e figli reclutati per la circostanza... E avvenne l'incredibile. Furono migliaia le mani che si unirono alle nostre, quel ventisette gennaio 2002, per 'proteggere' il Palazzo di Giustizia di Milano, mani di gente imprevista, professionisti, anziani, operai e casalinghe, gente per bene che non chiedeva niente per sé, ma che voleva semplicemente difendere il principio dell'autonomia della magistratura, diritto e garanzia della nostra Costituzione. Il risultato ci convinse a proseguire e così ritrovammo le stesse e molte altre persone per bene a Roma ed in numerose altre città ad 'abbracciare' con noi anche altri diritti: informazione, scuola, salute, fino al grandissimo abbraccio di piazza S.Giovanni… Sono perfettamente consapevole che contemporaneamente a noi, in tantissime altre case italiane tanti altri piccoli gruppi con il nostro medesimo senso di solitudine di abbandono e di rabbia stava tentando di trovare un modo per dire 'noi non ci stiamo': ne è esempio la imponente manifestazione dei professori di Firenze immediatamente precedente alla nostra e quasi totalmente ignorata dai media, e quella di poco successiva e ancor più imponente del Palavobis che segnò definitivamente il risveglio della società civile. Ma è altrettanto vero che la novità del 'girotondo' piacque o disturbò particolarmente, da lì in poi è storia nota. Mi scuso per aver indugiato nel ricordo, non è certo per autocelebrazione, dato che sono assolutamente convinta che per una serie di circostanze particolari ci siano stati attribuiti assai più meriti di quanti non abbiamo, ma è sinceramente disperante che persone estranee ai girotondi continuino a spiegarci cosa siamo e cosa vogliamo. Chi siamo credo di averlo già detto, semplici cittadini con scelte di vita ed idee anche molto distanti fra loro, tutti assolutamente accumunati dall'idea che certi diritti fondamentali siano la base di ogni sistema democratico e siano assolutamente intoccabili a prescindere da qualsiasi idea politica. Quello che voleva lo sparuto gruppo di amici, indignati per quanto stava accadendo, (ben lungi dal sapere che il peggio doveva ancora venire), era semplicemente (semplicemente?) esprimere un disagio, evidenziare dei problemi, informare e coinvolgere anche altre persone, vittime di un'informazione spesso faziosa o solo disattente, di area ulivista e non solo, e anche, certamente, pungolare la nostra opposizione ad un'azione più efficace. Da qui a dire che i girotondi nascano contro i partiti di opposizione, vogliano demolire il sistema delle rappresentanze o siano addirittura contro le istituzioni denota, ad essere benevoli, per lo meno mancanza di informazione. Questo per chiarire, senza illudermi che possa essere l'ultima volta, che l'attribuzione o anche l'appropriazione di tutte le variegate forme di protesta emerse ed emergenti, non pongono solo un problema terminologico ma soprattutto politico. Chiunque abbia condiviso e condivida le intenzioni qui espresse (qualunque sia la modalità per perseguirle o il nome che si è scelto) potrà legittimamente definirsi girotondino, chi non le condivide si farà solo bello con le penne del pavone, utilizzando un'espressione mediatica particolarmente fortunata ma svuotandola di fatto del suo contenuto. Intendiamoci questo non è lo spartiacque tra i 'buoni' e i 'cattivi', so benissimo che accanto a persone chiaramente in malafede o che 'cavalcano l'onda' per battaglie personali, sono moltissimi gli appartenenti ai cosidetti 'corpi intermedi' che si sono scelti ambiti di lavoro più ristretti o più ampi rispetto ai nostri, oppure semplicemente modalità differenti per portarli avanti, e so bene che sono tutti assolutamente legittimi, anzi spesso complementari. Di più: moltissimi di noi esercitano una 'doppia militanza', in associazioni e movimenti che operano in campi differenti, ovviamente compatibili. Mi riferisco naturalmente ai NoGlobal, ai Cittadini per l'Ulivo, a Libertà e Giustizia, al Laboratorio per la Democrazia, ad Articolo 21, ma anche alla miriade delle tante altre utilissime forme di impegno politico e sociale tradizionali o nuove, con le quali ritengo indispensabili un reciproco rispetto e una fattiva collaborazione. Lo stesso rispetto e collaborazione che devono esserci nei confronti dei partiti, che restano pur con i loro ritardi e i loro errori, un'espressione essenziale della democrazia, perché sia possibile costruire tutti insieme un'alternativa credibile e vincente a questo becero governo di centro destra. *Girotondi per la democrazia Milano permanoperlademocrazia@hotmail.com

24 giugno 2003
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 29) nella sezione "Commenti"

L'Unità - L’abbraccio dei girotondi

L’abbraccio dei girotondi
di Daria Colombo
È stato l'ultimo canto del cigno l'entusiasmante manifestazione dei 5000 cittadini di domenica 26 gennaio a Milano, in difesa del diritto alla salute? Oggi che Sergio Cofferati ha responsabilmente palesato la sua preziosa disponibilità a coordinare un raggruppamento rappresentativo a largo raggio, per costruire il programma vincente della coalizione di centro sinistra (noi non ne avevamo mai dubitato), e dopo la altrettanto significativa apertura da parte dei massimi dirigenti dell'Ulivo al medesimo percorso, servirà ancora che la gente comune scenda in piazza per difendere i diritti così fortemente messi in discussione dall'attuale governo? Quello trascorso è stato un anno di diritti offesi ma anche di diritti difesi, che ha superato qualsiasi aspettativa: proprio guardando l'esperienza trascorsa, vale la pena di chiedersi se avrà ancora senso e utilità che i girotondi continuino ad esistere o se è ormai giunto il momento per migliaia di cittadini normalmente «disavvezzi» alla politica di ritornare alle rispettive occupazioni e preoccupazioni, mentre gli organizzatori mettono a frutto le proprie esperienze di capacità e di idee? Ancor prima dell'ormai famoso «Resistere», l'intenzione del gruppuscolo milanese era quella di realizzare, un grande abbraccio di persone a protezione, si badi bene a protezione, di alcuni edifici simbolo della nostra democrazia. Da qui è indispensabile partire per ribadire ancora una volta la natura e lo spirito del movimento dei girotondi che ha offerto l'occasione alla gente comune di far sentire la propria indignazione assolutamente pacifica e la propria preoccupazione sinceramente trasversale di fronte alle spinte antidemocratiche messe in atto dal governo Berlusconi. Indignazione e preoccupazione che partendo da una vasta diversità di opinioni e di simpatie politiche, confluiscono tutte in un unico sentire, basato sui fondamentalmente sui principi della nostra Costituzione. Quel 26 gennaio 2002 toccò al palazzo di giustizia. Il primo principio che abbiamo voluto «abbracciare» è stato quello dell'indipendenza della magistratura, in quanto la legalità, e la legalità costituzionale in primo luogo, è la struttura portante del nostro ordinamento democratico. Da qui, un pò prima, un pò dopo, il fantastico risveglio della società civile: una realtà dalle molteplici sfumature ed espressioni che la sintesi giornalistica ha battezzato «i girotondi». Da allora è stato detto e scritto molto, spesso male, ma oltre ogni forzosa interpretazione, i girotondi restano semplicemente cittadini che vogliono difendere i diritti fondamentali sanciti dalla nostra costituzione ed è per questo ovvio, al di là di tutti gli stupori più o meno artificiosi, che esistano tra noi sensibilità diverse, talvolta anche molto diverse, previste e prevedibili fin dalla nascita. In un movimento che non ha certo la pretesa di occuparsi di politica a 360 gradi, ma che sceglie di limitare il proprio raggio d'azione alla difesa dei diritti, è giusto e ovvio che si riconoscano persone anche assai diverse tra loro. Diverse, ma (non sperino gli oppositori) solidamente unite a difendere principi che ritengono intoccabili come appunto, l'autonomia della magistratura, il pluralismo nell'informazione, un'istruzione che sia una reale opportunità per chiunque, il diritto alla salute, al lavoro, alla pace. L'altro punto da ribadire è che i girotondi non sono l'antipolitica. Non abbiamo mai avuto la pretesa, noi dei movimenti, di essere «i puri», quelli buoni, quelli che non devono «mischiarsi» con la politica con la p maiuscola, «che è una cosa sporca». Noi, anzi, riconosciamo, come ha fatto, assai più autorevolmente, Sergio Cofferati, il ruolo e la fatica di chi è stato delegato a condurre in prima persona la battaglia politica. Non sono loro «i nemici» anche se è innegabile che il movimento sia nato anche per colpa di alcuni ritardi, alcuni errori e di talune divergenze con i nostri rappresentanti politici, a volte anche molto marcate. Oggi però riteniamo che, soprattutto grazie ai girotondi, si sia creato (ricreato?) un atteggiamento irreversibile, e che la società civile, finalmente risvegliata, non permetterà mai più che ciò accada. Non dimentichiamoci che i partiti devono avere un ruolo omnicomprensivo e che hanno il compito e il dovere di esprimere programmi che tocchino tutti i problemi della società, mentre noi siamo «solo» dei cittadini democratici che vivono i problemi reali e che esprimono disagi etici o concreti, secondo gli obbiettivi che il movimento si dà volta per volta. Obbiettivi non meno importanti, anche se circoscritti, che prendono il via dalla preoccupazione per la situazione di emergenza democratica che il paese sta vivendo. Restiamo tuttavia consapevoli che la preoccupazione, pur espressa in maniera importante, è un sentimento che non basta all'agire politico, ma siamo anche convinti che i luoghi e i compiti della politica siano molteplici, diversi, e tutti ugualmente legittimi. Non saranno i girotondi né gli altri movimenti di opinione a decidere come disciplinare il sistema radio-televisivo o a indicare altre soluzioni tecniche che devono restare oggetto della discussione parlamentare e delle azioni legislative, ma sicuramente potranno, se onestamente coinvolti, fornire un contributo fondamentale di idee e di vicinanza alla gente comune. Sappiamo perfettamente che la politica che si fa nei movimenti è altra cosa dalla politica che si fa nei partiti: lo è nell'organizzazione, nel linguaggio, negli strumenti, nelle modalità, ma può coincidere nelle finalità. E il problema non è la scelta del leader o tra riformismo dall'alto o dal basso, né tra realismo o massimalismo, ma è quella di partire dalle esigenze e dalle aspettative dei singoli cittadini e di costruire un progetto comune per battere il governo di centro destra. Noi l'abbiamo già detto in molteplici occasioni: mai più deleghe eterne, saremo vicini e collaborativi con i nostri rappresentanti, ma attenti e critici com'è giusto che siano i cittadini che hanno fatto della partecipazione una scelta etica e civica. Oggi crediamo che sia tempo di lavorare tutti insieme, movimenti e partiti, cittadini e associazioni, nell'Ulivo e oltre, ciascuno nella propria area di riferimento e insieme, forti della convinzione che la sottolineatura delle diversità, anzichè dei convincimenti comuni, ci impedirebbe di essere un'alternativa credibile all'attuale governo. Non dimentichiamoci inoltre anche l'importante compito mediatico del movimento che, di girotondo in girotondo, costringe una stampa talora imbavagliata e una cittadinanza a volte distratta a soppesare la differenza tra democrazia formale e democrazia sostanziale, la prima, quella che é al governo, basata su di un'economia suicida e su interessi privatistici, la seconda, quella in cui ci riconosciamo, che tiene conto dei più deboli. Non forziamo il percorso del movimento con rappresentanze (questo è il vero nodo: chi rappresenta chi?), non miniamone l'autonomia (che non è separatezza), non limitiamoci ad etichette di estremisti o di antiriformisti e non poniamoci programmi se non quello di esserci: probabilmente la risposta l'avremo già data.

6 febbraio 2003
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 30) nella sezione "Commenti"

L'Unità - Le banane di Pera

Le banane di Pera
di Emilia Cestelli Delle Daria Colombo Marina Minicuci
Il confronto sia educato, ha detto, e non trascenda. Per questo tendiamo una mano al nostro Presidente e gli facciamo un regalo, riservandoci di giudicarlo in base all'uso che ne farà. Sarà un omaggio collettivo, a cui ognuno potrà partecipare. Di che cosa si tratta? Abbiamo deciso di aprire una sottoscrizione pubblica, un centesimo per ciascuno, per comprare un albero di banane. Il presidente Pera sa certo il valore simbolico che hanno sempre avuto il taglio del nastro o la posa della prima pietra. Quest' ultima soprattutto può avere un valore storico indiscutibile. Si pensi alla prima pietra di una grande opera, di una città o di uno stato. Ebbene, il nostro banano è potenzialmente la prima pietra di una nuova repubblica, la mitica (e in Europa ancora irrealizzata) Repubblica delle Banane. Il nostro Presidente decida cosa farne. E noi lo giudicheremo senza pregiudizi -oddio, qualcuno ne avremmo, ma è reversibile-, valutando esclusivamente i suoi comportamenti. Diciamo la verità. Gli elementi che sembrano promettere una felice ambientazione al nostro banano ci sono purtroppo tutti. E' veramente carina, quasi charlichapliniana, l'idea che chi organizza una libera e pacifica manifestazione di dissenso abbia in sé il germe del totalitarismo. Che vorrà mai dire? Che noi cittadini siamo totalitari se pensiamo che una legge fatta su misura del capo del governo e dei suoi più stretti amici sia un insulto alla giustizia, alla decenza e alla Costituzione? Totalitari noi e non chi vuole mettere sotto controllo, processo per processo, la magistratura? Oppure: vorrà dire che noi cittadini siamo totalitari se protestiamo contro la trasformazione della cariche istituzionali in impieghi privati al servizio degli imputati più potenti del paese? Ci dite per favore, a questo punto, se siamo noi che dobbiamo essere richiamati al rispetto delle istituzioni? O ancora, visto che siamo curiose e aperte a ogni ipotesi: vorrà dire che siamo totalitari per il solo fatto di manifestare le nostre idee, e dunque che la democrazia per i filosofi della scienza si deve ridurre all'atto di votare una volta ogni cinque anni e poi starsene rigorosamente zitti e muti e immobili tra un'elezione e l'altra? E il Presidente del Senato non si sente un po' imbarazzato quando pretende di toglierci (almeno attraverso il suo giudizio morale e politico) la possibilità di manifestare, visto che chi governa ha già il pieno controllo delle televisioni? Dunque per noi, democraticamente ed educatamente, niente televisioni e, in più, niente piazze e niente manifestazioni? Di qua ci siamo noi, piccole formiche con i nostri cellulari e i nostri tamtam. Di là c'è un gigante con la sua immensa potenza di informazione, giorno per giorno, ora per ora. Fa dunque davvero tanta paura la verità da trasformare le formiche in un pericolo? Ma in quale paese sarebbe possibile predicare questa 'democrazia' se non, appunto, nella Repubblica delle Banane? Per questo il 14 settembre, a Roma, in piazza del Popolo, alla manifestazione per la giustizia di cui siamo tra i promotori con le nostre associazioni, noi arriveremo con la nostra pianta in omaggio. E la faremo recapitare, o la recapiteremo noi stesse, al Presidente del Senato. Decida lui che cosa farne, idealmente si intende. Se accoglierla come segno di una preoccupazione sincera, di una critica fondata e civile: la nostra. E come spunto per una sua civile autocritica, che sarebbe segno di equilibrio e di forza. Oppure se respingerla nella convinzione che tra fine luglio e inizio agosto ha fatto bene a calpestare Costituzione e regolamento al Senato. Che ha fatto bene a obbedire per filo e per segno alle richieste e ai tempi processuali dei due grandi imputati. Che, con il panorama umano e politico che ha davanti, fa bene a condannare senza sosta solo e unicamente le cittadine e i cittadini che manifestano il loro dissenso. Che la seconda carica dello Stato ha il diritto di fare lotta politica e lanciare scomuniche sulla minoranza parlamentare e civile che esercita i suoi diritti costituzionali. Insomma, che è giusto vivere nella Repubblica delle Banane. In quel caso la nostra pianta sarà la prima pietra del nuovo stato.

21 agosto 2002
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 30) nella sezione "Commenti"