"Donna non si nasce, si diventa" (Simone de Beauvoir)

lunedì 29 marzo 2010

L'Unità - No, non siamo andati a casa

No, non siamo andati a casa
di Daria Colombo
«Che fine ha fatto la società civile?» si domanda Antonio Padellaro nell'editoriale di sabato, giustamente disgustato, come tutti noi, dall'ignobile stravolgimento ad uso e consumo del governo, della nostra Carta Costituzionale e dal relativo festeggiamento berlusconian-leghista, con roselline bianche, in piazza Montecitorio. Dov'è finito, si chiede, il popolo di piazza San Giovanni ora, che “un ordigno della potenza di cento leggi Schifani e Cirami minaccia la nostra democrazia”, rischiando di condurre l'Italia in un vicolo cieco senza ritorno? Non esiste, naturalmente, una sola risposta, ma ritengo che qualsiasi tentativo di trovarla debba partire necessariamente da due considerazioni fondamentali: difficilmente un movimento, e quello di cui parliamo e al quale appartengo, non fa eccezione, può essere considerato un'entità omogenea e inoltre non può nemmeno, per sua natura, darsi un'organizzazione permanente e definitiva che lo trasformerebbe di fatto nel surrogato di in un partito. Entrambe le cose hanno aspetti positivi e negativi. Le diversità e originalità intrinseche ad un movimento di tipo nuovo, nato sulla difesa dei diritti (diversità che, dal mio punto di vista, non sono quasi mai di merito, ma di metodo e di funzione) ne costituiscono senz'altro la ricchezza ed anche uno dei motivi del grosso seguito, ma emergono quasi sempre in maniera prepotente nelle fasi immediatamente successive alle grandi manifestazioni, trasformandosi spesso in elemento paralizzante. Dopo importanti eventi di piazza, scaturiti da un particolare contesto storico e da situazioni oggettive, taluni tra i cosiddetti leader mediatici prendono come un successo personale quello che è esclusivamente un successo collettivo determinato da esigenze di nuova partecipazione e socialità, dimenticano di non essere rappresentanti di nessuno, rinunciano definitivamente alla pazienza della mediazione, anzi la demonizzano (che di duri e puri, si sa i movimenti sono costellati), pretendono di “dettare la linea” e creano così disorientamento in chi segue, con defatiganti distinguo e teorizzazioni superflue, trascurando sostanzialmente che “fare movimento” è l'unico scopo del nostro esistere. Gli altri elementi di forza di un movimento, la spontaneità e l'estemporaneità, fanno sì che esso non possa avere vita continuativa, il che però non va necessariamente considerato un male, né un limite di senso. Tento di spiegarmi partendo dall'affermazione di Padellaro che “in politica, come in molte cose della vita, ciò che non resiste non esiste”. Io credo, invece, che esistano in politica, e in molte cose della vita, anche l'evoluzione e la trasformazione e anche l'inevitabile chiusura di alcuni cicli, necessaria per aprirne altri, il che non significa affatto un fallimento, a patto che l'esperienza prodotta abbia maturato idee e consapevolezza valide a produrne appunto di nuove, di maggior peso ma anche di minor rilevanza. Mai, nemmeno per un istante ho pensato che non fosse questo il nostro caso. Lo so, lo vedo quotidianamente. Vorrei rincuorare Padellaro garantendogli che, a fronte di una Montecitorio silente, decine di iniziative, sparse su tutto il territorio italiano, scollegate tra loro (e questo è un limite), esprimevano il loro sgomento ed il loro desiderio di manifestarlo, se pur in modo mediaticamente ininfluente (e questo è un limite ancor maggiore). È importante ricordare che a fianco di un sostanziale aumento di iscrizioni ai partiti di centrosinistra e di reali nuovi elettori, esistono anche una la miriade di gruppi e di associazioni, nate dall'esperienza di piazza S. Giovanni e non solo, che pongono la partecipazione politica, agita in modo non tradizionale, alla base del loro essere. Esiste insomma, un riavvicinamento sostanziale alla vita politica del paese, con modalità e forme diverse ed individualizzate, basato oggi su un impegno reale, se pur non coordinato a livello nazionale (ma non per questo poco importante), in cui i girotondi hanno giocato un ruolo importante. Ma andiamo avanti… Può benissimo essere che alcune delle persone che hanno dato vita al fenomeno dei girotondi sentano “di aver esaurito il proprio compito nella spinta propulsiva data ai nostri parlamentari che si battono nelle aule parlamentari quasi sempre ai limiti delle loro possibilità”, non mi sento affatto di escluderlo. Come pure non mi sento di escludere che la miopia dei partiti nell'aprirsi o nel chiudersi ai movimenti in modo spesso strumentale, abbia demotivato definitivamente alcuni partecipanti occasionali di cui si compone il movimento, i quali non tengono nel debito conto che il necessario processo di rinnovamento dei partiti richiede inevitabilmente tempi lunghissimi ed è destinato ad incontrare anche grosse resistenze. E non mi sento inoltre neanche di escludere che una certa linea di contrapposizione tra le due realtà, movimenti e partiti, abbia giocato un ruolo di allontanamento per chi aveva fatto dell'unità, oltre alla difesa dei diritti, il centro del proprio impegno. Vale la pena ricordare ancora una volta, che la conquista di risultati concreti potrà essere realizzata solo tenendo sempre presente, nel rispetto reciproco, la diversità delle funzioni, insomma: i partiti devono fare i partiti e i movimenti devono fare i movimenti, senza confusione di ruoli o di prerogative, come a volte succede. Talvolta ai partiti fa comodo avere chi grida (mentre talvolta ne vengono disturbati), ma loro devono fare il loro lavoro a prescindere da ciò e, ovviamente, in modo continuativo, senza pensare che debbano esserci i movimenti ad urlare al posto loro. Ricordiamoci inoltre che i partiti hanno il dovere di ascoltare tutto ciò che si muove nella società, ma non il diritto di pretendere e neppure di chiedere, che i movimenti non agiscano autonomamente, cosa che deve avvenire secondo le loro specifiche esigenze, le loro spinte, le loro possibilità e capacità di presa. E proprio perché siamo cittadini che si organizzano in modo tematico e s'infiammano su argomenti cruciali, è normale che ci siano delle pause, mentre sarebbe più grave che se le prendessero i partiti. Ma non possiamo neppure dimenticarci che esiste una parte di società civile che si è sentita tradita da chi ha trasformato la difesa dei diritti in un incessante attacco ai partiti o addirittura nella pretesa di sostituirsi ad essi. Molte persone inoltre, si sentono schiacciate da un sentimento d'impotenza davanti all'inesorabile percorso di scempio della democrazia che sta compiendo l'attuale governo e anche, non possiamo non tenerne conto, annichilite dall'agghiacciante quadro internazionale, il quale fa apparire quasi poca cosa perfino le nostre drammatiche vicende italiane. Ma la domanda di fondo resta e voglio tentare di dare una risposta, pur senza la pretesa che sia quella assoluta. Esiste ancora, direttore, una cittadinanza attiva e consapevole, forse oggi più silenziosa, ma che non lo sarà certamente per sempre. Sono tanti i cittadini contrari a questo governo che sentono che la politica non è solo quella che si fa in Parlamento, ma anche in tanti altri luoghi, e, no, non è vero che “tutte quelle persone se ne sono semplicemente tornate a casa”. E comunque, se pur lo avessero fatto (non dimentichiamoci che i movimenti sono composti da volontari che spesso fanno i conti con la realtà, talvolta piacevole, talvolta sacrificata, della loro vita), resto convinta che “se ne siano tornate a casa” con una consapevolezza differente, la quale produrrà comunque dei frutti, come avviene per ciascun movimento che è anche di pensiero. Certamente, oggi siamo in un momento diverso da quando, all'inizio di questa sciagurata legislatura, andare in piazza voleva semplicemente dire assolvere ad un dovere individuale, oserei dire quasi esclusivamente etico, oggi che un po' di acqua è passata sotto i ponti e che la situazione italiana si è definita in tutta la sua drammatica pericolosità, si mira anche ad un risultato concreto, il che difficilmente potrebbe essere prodotto da un un'unica, pur imponente manifestazione (un'altra S. Giovanni non otterrebbe, oggi, per capirci, il medesimo risultato di allora, proprio per il fatto di non essere la prima). Per questo, ben consapevoli dei rischi che sta correndo la democrazia, si sta pensando in questi giorni, ad una mobilitazione altrettanto importante, che coinvolga più gente possibile, da realizzare se pur con modalità diverse, su tutto il territorio italiano, attuata anche in momenti diversi ma coordinata e pensata in concerto tra le varie realtà, come un'enorme staffetta di tempi e di luoghi. Oltre a creare informazione sul tema, dovrà produrre un serio risultato specifico: l'abolizione di questa ignobile controriforma della Costituzione, attraverso il referendum. Il movimento in tutte le sue componenti, si sta riorganizzando su questo progetto. Nel frattempo, è con lo stesso spirito di servizio, con la medesima tenacia e desiderio di supplire alla disinformazione faziosa e colpevole, egregiamente descritta da Padellaro, che si terrà il prossimo lunedì, a Milano, una coraggiosa iniziativa sulla riforma dell'Ordinamento Giudiziario, che verrà votata al Senato il giorno successivo. Sappiamo già che questa riforma, altamente lesiva dell'autonomia della magistratura, passerà, sappiamo anche che probabilmente, per tutti i motivi che si è tentato di dire e per molti altri ancora, non ci sarà tutta “la Milano del Palavobis” a gridare con noi il proprio sdegno, sappiamo già che non guadagneremo i titoli in prima pagina e che potrebbe anche esserci qualcuno a dirci “dovevate fare di più”, ma noi continueremo ugualmente, con i nostri mezzi, con i nostri linguaggi e le nostre possibilità a tentare di promuovere cittadinanza consapevole e attiva. In attesa di essere considerati “emotivamente instabili”, saranno con noi, domani sera alle 21, al Teatro Dell'Arte, alcuni giudici di varie correnti della Magistratura, come Armando Spataro, Claudio Castelli, Pier Camillo Davigo, Fabio Roia e Piero Martello, oltre ai generosissimi Paolo Hendel e Marco Travaglio. Mi auguro che una sala strapiena e partecipata, rassicuri il direttore, e noi con lui, che la società civile non ha per nulla rinunciato ad esserci, e che dimostri invece, una volta di più, di avere ancora tanto fiato in gola per urlare i propri no, e anche tanta, tanta, energia per le necessarie battaglie a venire. movimento@girotondiperlademocrazia.it

25 ottobre 2004
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 26) nella sezione "Commenti"

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