"Donna non si nasce, si diventa" (Simone de Beauvoir)

venerdì 30 luglio 2010

CorrieredellaSeraGli incontri / A casa di: DARIA COLOMBO

Sono una sessantottina autoritaria
Ha scritto un romanzo, «Meglio dirselo», in cui prende le distanze dal «mito» dei genitori primi amici dei figli. «Da trent’anni moglie di Roberto Vecchioni, ho rinunciato a molto. I girotondi mi hanno ridato forza, più di una Milano sonnolenta»
Gli incontri / A casa di: DARIA COLOMBO

Sono una sessantottina autoritaria

Ha scritto un romanzo, «Meglio dirselo», in cui prende le distanze dal «mito» dei genitori primi amici dei figli. «Da trent’anni moglie di Roberto Vecchioni, ho rinunciato a molto. I girotondi mi hanno ridato forza, più di una Milano sonnolenta»

L’arcobaleno di tende multicolori grida un inno alla gioia di vivere. «Le sembra»? Sprazzi di viola e poi un fascio di seta bianca, un abbaglio giallo e una fiammata rossa e poi una lama color arancio, una specie di pantheon di sciarpe buddiste che arginano un divano viola. Daria Colombo sorride cortese. «Avevamo voglia, forse anche bisogno, di colori. Dovevamo segnare l’uscita da un periodo buio». Ora c’è luce, «almeno ce n’è abbastanza», intorno a questa donna che è fra le più invidiate d’Italia. «Sapesse quanto mi fa infuriare questa invidia». La sua «fortuna», almeno quella che le hanno appiccicato addosso, è di essere la moglie di Roberto Vecchioni. «Da trent’anni», precisa. Un tempo lungo, sufficiente per essere considerato un titolo di merito. «Ma anche un limite - spiega Daria Colombo -. Ho come l’impressione di aver rinunciato a una serie considerevole di possibilità, di occasioni. È che per educazione sono stata poco abituata a pensare a me. In realtà il vero, unico regalo che mi sono fatta, la concessione che mi sono permessa di imporre anche agli altri, è stata questo libro».


Daria Colombo durante una manifestazione dei girotondi
Ha scritto Meglio dirselo, romanzo familiare e familista che inverte e rivoluziona molto di quello che la sua generazione - quella del ’68 - ha conquistato, insegnato e predicato. Genitori amici dei figli, ad esempio, e mai autoritari, alfieri di una libertà assoluta di fare quel che si vuole. «Ma nemmeno per idea - dice - in casa sono la rompiscatole, quella che impone regole e disciplina. Vivo con due giovani maschi e un adulto adolescente, che sarebbe mio marito. Un disastro». Scherza. Fra i tanti lavori che ha fatto con successo, quello che preferisce è sicuramente il mestiere di moglie e madre. Le è riuscito bene, anche se non si è mai liberata da un pesante fardello di ansia. «Con Caterina, la prima figlia, ero divorata dalle preoccupazioni, con il secondo, Arrigo, è andata già meglio, con Dodi, il terzo, mi sono tranquillizzata. Abbastanza». Però non si addormenta se non li ha sentiti rientrare e perfino sulle piccole cose conserva prudenze antiche. L’acqua ad esempio, si beve calda. E non fa niente se, soprattutto quella gasata, fa un po’ schifo: «Ho paura che presa dal frigo, troppo fredda, possa provocare una congestione».

Ma le apparenze, come sempre, nascondono verità totalmente diverse. Daria Colombo è una donna rocciosa. Chi segue la politica la ricorda alla guida del movimento dei girotondi, quello che poi «venne consegnato bello e confezionato a Nanni Moretti». Pausa. «Adesso penso che avesse ragione lui. Io ho sempre detto che quel movimento non doveva essere inteso contro i partiti. Ora penso che i partiti non cambieranno mai. Speravo che il Pd di Bersani riuscisse ad essere diverso, lui si era impegnato con me a tener conto dell’associazionismo, a dare una svolta davvero innovativa al modo di fare politica. E invece siamo rimasti inchiodati al secolo scorso. E ha ragione Nanni Moretti: non cambieranno mai».

Lei, invece, è cambiata. E ha perfino scoperto l’autoironia: «Sono stata una bella donna, ma alla bellezza che gli altri mi attribuivano si è sempre accompagnata un’insicurezza profonda. Ora che ho smesso di essere bella come ero, sono diventata più sicura: i foruncoli non mi fanno più paura». Anche se vive con un demonio accanto. A vederlo, Roberto Vecchioni sembra la lastra di un uomo, una cinquantina di chili scarsi. Viene da pensare che non mangi mai. «E invece è un divoratore di tutto, di dolci, in particolare. Ci sono serate che arriva in camera da letto con una Sacher torte intera, un monumento al cioccolato, e mi provoca, mi istiga, vuole che la divida con lui. E fatico a resistere, come si fa»? Già, come si fa a resistere a Vecchioni? Cosa ha di così magico da riuscire a piacere a tutte le donne? «Quell’aria da intellettuale sofferente. Strega».

E pensare che lei lo ha fatto piangere. «Quei singhiozzi mi hanno fatto felice, posso dirlo? Quando ha finito di leggere il mio libro mi è venuto vicino, mi ha detto "è bellissimo" ed è scoppiato in lacrime». Bella soddisfazione, no? «Sono stata molto contenta. Ma anche dei complimenti di molti altri amici, Pino Roveredo, Enzo Iacchetti, Gianni Morandi, Giovanna Melandri, E Lucia, la parrucchiera, 18 anni: mi ha rincorso e mi ha abbracciata in mezzo alla strada». Cos’è che è piaciuto, secondo lei? «Credo il senso di autenticità, di partecipazione, la difesa dei valori e degli affetti più veri». Oltre che della famiglia. «Già. In un mondo dove tutto si disgrega, la famiglia ritrova un’importanza fondamentale. Posso dire che per me è quello che viene rappresentato con semplicità nei fumetti Pokemon, che i miei figli vedevano da piccoli. "La famiglia - dicevano - è il posto dove non si è mai soli"».

La famiglia Vecchioni vive nella Milano storica e di moda, non lontano da corso Garibaldi e da Brera. «Adoro Milano. O meglio adoravo la Milano colta e nello stesso tempo popolare, quella di alcuni decenni fa. Poi quando è diventata da bere, è cominciato il declino, e oggi è una città sonnolenta, con poche suggestioni. Parafrasando Elio Germano, potrei dire che i milanesi sono grandi persone, nonostante la loro classe dirigente. Quando possiamo scappiamo a Desenzano, sul lago». Lì sta più tranquillo anche Tony, il cane di casa. È un Border Collie, socievole e peloso, con una particolarità caratteriale che con la razza non c’entra niente, ma denuncia una certa avversione alla vita cittadina. Quando passa un’auto con sirena, che sia polizia, vigili del fuoco o ambulanza, ulula. Ma ulula proprio. Si sistema accanto alla porta finestra, alza il muso e, a suo modo, canta. C’è chi ironizza e sostiene che vuole imitare il padrone di casa. Sanno ridere bene, i Vecchioni, anche di loro stessi. Prendi il tifo, ad esempio. Roberto, come è noto, è gran tifoso dell’Inter: e così anche Carolina, 26 anni, Arrigo, che ne ha 23, e «in qualche modo costretta» anche Daria. Edoardo no. Dodi ha deciso che ribellarsi alla passione nerazzurra è giusto. Ha applicato al tifo i dettami del ’68 e da sveglio ragazzo milanese ha scelto, addolorando il padre, le romanze musicali di Antonello Venditti e intona «Grazie Roma» per incoraggiare Totti e De Rossi. «E adesso pure Adriano. Anche se non sono convinto - dice - che saprà resistere alle tentazioni della notte romana».

Edoardo è l’amore difficile della famiglia, un bel ragazzo con una malattia da sconfiggere: è stata già vinta più di una battaglia contro la sua sclerosi multipla, c’è da vincere la guerra finale. Allora si brinderà tutti insieme e sarà la vera fine del buio. Intanto si va avanti. Tenaci. «Testarda, sì, sono testarda. E anche un po’ quacchera e assolutista. Insomma se mi metto in testa una cosa non mi si smonta». Come con il libro. «Alle cinque e mezzo, massimo le sei, ero davanti al computer». Daria racconta di un’infanzia severa, che la ha rubato a lungo la capacità, più che la voglia, di sorridere. Genitori adorati ma austeri, la malattia della madre - che torna nel libro - il recupero del rapporto con il padre, anche questo elemento fondamentale del romanzo. «Poi ho imparato a non disprezzare le cose futili, quelle che sembrano sciocche. Ho imparato a fare le imitazioni». Nel suo salotto colorato d’allegria si lascia andare alle parodie, sembra riuscitissime, di Berlusconi e Fassino. «Sapevo fare bene anche Patty Pravo, ma ne è passato di tempo».

Le distrazioni non cancellano mai l’impegno, quel collettivo al quale la vita di Daria si è voluta sempre ispirare. «Una parte dei diritti del libro andrà all’associazione World Friends che si occupa in Kenya dei meno fortunati: abbiamo costruito una casa famiglia, ci vivono in 35. Hanno bisogno, noi proviamo ad aiutarli». Quel che comanda e indica la strada, il senso e la voglia di comunità, di parlare. «Meglio dirselo». Sembra una leggenda, e forse lo è, la storia di Carolina bambina davanti ai genitori che non volevano comprarle una Barbie. Lei, a poco più di un anno, tentò così l’ultimo assalto: «Palliamone».

Corrado Ruggeri
28 giugno 2010

YouDemTV

Bella intervista a Daria su YouDemTV

http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=7ba78146-263a-4d9f-abd7-40ceef37c1ac